Huffington Post – 22 Luglio 2012
di Giulio Terzi di Sant’Agata
Versione italiana
I diritti delle donne sono una questione cruciale nelle politiche estere dell’Italia. Il nostro paese ha sempre giocato un ruolo nella promozione della parità di genere e nell’uguaglianza contro la discriminazione nello scenario internazionale. Ciò significa anche lavorare per una crescita di partecipazione delle donne nella governance mondiale – iniziando dalla diplomazia – e incoraggiando la formazione professionale femminile.
Le donne sono un “potente agente di pace, sicurezza e prosperità”, diceva lo statement finale dell’ultimo incontro dei ministri del G8. Indubbiamente sono però escluse dai più importanti negoziati di pace, e dai grandi processi di transizione in atto. Le grandi decisioni che vedono assente o marginale la componente femminile sono fallaci dal punto di vista della legittimità politica e rinnegano una sensibilità, esperienza, e prospettiva di una parte fondamentale della società, privandoli quindi di energie vitali negli aspetti di riconciliazione, stabilità e coesione. Per questa ragione abbiamo accolto calorosamente la notizia che Nkosazana Dlamini-Zuma, ministro per gli affari interni SudAfricana, è stata eletta al vertice dell’Unione Africana: la prima donna a salire su un così alto scranno.
L’enorme potenziale delle donne continua a non essere pienamente sfruttato. Come ha affermato Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica Italiana: “giacimenti naturali di creatività, solidarietà, empatia e realismo, le donne garantiscono alla nostra società una duratura fiducia per il futuro. Nella misura in cui ai più alti livelli della diplomazia crescerà una presenza femminile e giovanile qualificata, le nazioni che non sapranno cogliere questo trend saranno destinate a perder posizioni”.
Volendo portare il tema dell’equità di genere nel servizio pubblico, il Ministero per gli Affari Esteri, ha recentemente organizzato la conferenza “Women in Diplomacy”, come seguito di alto profilo dell’iniziativa “The Women in Public Service Project” voluta da Hilary Clinton nel dicembre scorso.
Penso che il principale indicatore di successo di questo rafforzamento dell’apporto femminile sia ad oggi rappresentato dalla condizione delle donne in nazioni in grande mutamento, come quelli dell’area mediterranea e – soprattutto – in Afghanistan.
Le donne sono le vere eroine della Primavera Araba. Hanno preso parte in massa alle prime elezioni e ora sono presenti nelle istituzioni democratiche. Ci aspettiamo ora che la nuova leadership araba rispetti i diritti delle donne e li promuova nelle nuove costituzioni e nella vita sociale e politica. Lo stretto legame tra diritti delle donne e generale stabilità, inclusione e ricostruzione, è il perno su cui costruire il buon esito di queste trasformazioni.
Dieci anni fa, la partecipazione delle donne alla vita politica in Afghanistan era semplicemente impensabile. Grazie agli sforzi della comunità internazionale, in cui l’Italia ha avuto un ruolo di spicco, le cose sono drasticamente cambiate. Attualmente la politica in Afghanistan non è più una cosa riservata agli uomini. Le donne afgane impegnate in politica crescono rapidamente, la percentuale di donne studenti è risalita fino al 38%, nei college rappresentano il 20% e ad oggi il 28% dei membri del parlamento Afghano sono donne.
Comunque, questi risultati, ottenuti con grande sforzo, restano deboli e insufficienti per sradicare pratiche violente e discriminatorie. I diritti delle donne, in Afghanistan devono essere ancora implementati con una voce forte e realmente influente nella ricostruzione del paese. Solo la scorsa settimana abbiamo espresso il nostro disappunto per l’esecrabile uccisione di Hanifa Safi, capo dell’ufficio del Ministero per le Donne nella provincia di Laghman, e per la brutale esecuzione di una donna accusata di adulterio. Ma anche in Afghanistan ci sono state voci di dissenso e reazioni di protesta. Spetta ora al governo Afghano – e alla comunità internazionale – proteggere quanto conseguito e non tradire o perdere i risultati finora ottenuti. Grazie al forte appoggio dell’Italia verso questi fini, la Conferenza di Tokyo ha riconosciuto la piena ed effettiva protezione dei diritti delle donne come un indice del pluralismo della società Afghana, e come via per l’avanzamento delle loro condizioni. Come e quanto il Governo Afghano saprà proseguire gli sforzi in questa direzione sarà uno degli indicatori utilizzati per decidere il livello di aiuti da erogare in futuro a questa nazione.
Molto rimane da fare, e non si può abbassare la guardia. Ora che le donne Afghane alzano la voce, e chiedono ascolto, non possono essere abbandonate. Come sosteniamo la nazione Afghana e il suo progresso economico e sociale, altrettanto dobbiamo sostenere le donne Afghane. E’ cruciale sostenere un maggior coinvolgimento e responsabilità per le donne in Afghanistan, sostenendole a divenire leader nel proprio paese, rinnovandolo così su basi eque con criteri di efficienza e meritocrazia.