L’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi: «L’unica via è quella dell’arbitrato»
Corriere del Mezzogiorno – 20 Dicembre 2014 di Michele De Feudis
Bari «Da quando ho dovuto vivere l’atrocità di rimandare Latorre e Girone in India, ho giurato che non mai avrei dimenticato nemmeno per un giorno la loro causa»: Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri del governo Monti al tempo della crisi internazionale che portò l’Italia a far tornare i fucilieri a Nuova Delhi, è un fiume in piena.
Ambasciatore, nel 2013 l’Italia dispose di non rimandare in India i militari, salvo cambiare idea. La ministra Pinotti adesso assicura che Latorre non si muove. Ci sono analogie tra i due contesti?
«Il vulnus risale proprio al marzo 2013. Fu la Caporetto della politica estera italiana. I casi, allo stato, sono completamente diversi. In un primo momento c’era stata la decisione collegiale del governo Monti, basata su motivi giuridici e politici, di trattenere in Italia i marò. Adesso non è chiara la strategia dell’esecutivo».
Intanto i fucilieri sono sempre più sotto pressione.
«Meritano solidarietà e vicinanza. Un intero paese ha la responsabilità di risolvere il caso, risarcire l’enorme sofferenza causata ai famigliari e chiarire questo disastro».
La posizione di Girone a Nuova Delhi?
«Ci muoviamo sul piano della legittimità: il marò è ospitato nell’ambasciata e sono già stati lesi gravemente i nostri diritti. E c’è anche la disponibilità della Croce Rossa internazionale a intervenire a sua tutela, nel caso ci fossero dubbi di gesti sconsiderati delle autorità indiane».
Latorre?
«Il sistema sanitario italiano ha assicurato che per le condizioni accertate ha bisogno di ulteriori cure. Anche in presenza di un affidavit drastico sottoscritto dall’Italia, nulla ci impedisce di trattenerlo per esigenze umanitarie».
La strada dell’arbitrato è percorribile?
«E’ indispensabile. La valutazione sulla necessità di scegliere questa via andrebbe fatta in mezza giornata. I ritardi avvengono sulla pelle dei nostri uomini. Darebbe esiti in poche settimane».
Troppi tentennamenti?
«Manca la necessaria determinazione verso un grande paese emergente. E non dimentichiamo che la cultura indù tende a non dare nessun credito a chi si presenta con la coda tra le gambe per trattare qualsiasi questione. Figuriamoci su un tema che riguarda la dignità nazionale».
Ci sono altri percorsi?
«Dovremmo adire il Consiglio di sicurezza Onu, per riaffermare l’immunità funzionale dei nostri militari».
Tornando alle convulse giornate che portarono alle sue dimissioni in dissenso con il governo, su cosa si basava il primo orientamento volto a trattenere Latorre e Girone in patria?
«Volevamo attivare la procedura di arbitrato obbligatorio nei confronti dell’India come previsto dal diritto del mare, affinché un giudice terzo sciogliesse la controversia sulla giurisdizione. E c’era un precedente».
A cosa si riferisce?
«La Corte Suprema indiana, con sentenza del 18 gennaio 2013, aveva sancito che Italia e India avviassero un processo di consultazione bilaterale, secondo la convenzione sul diritto del mare. Poi aveva respinto il riconoscimento dell’immunità funzionale dei fucilieri. In una fattispecie identica, con soldati indiani operanti in Congo, l’India aveva preteso che fossero rimandati in patria per processarli nei propri tribunali».
Perché il cambio di rotta?
«Tra il 21 e 22 marzo per motivi su cui non voglio rivangare. Mai nessuno li ha spiegati bene. E il disastro della corruttela e del malaffare di questi giorni fa nascere in molti più inquietudini su cosa è successo alla base del ribaltamento della decisione in quel frangente».