Democratico, federalista e laico: ecco il mondo che vogliamo

I compiti che ci aspettano in Occidente e le sfide da affrontare fuori dall’Europa: L’Iran e la trattativa sul nucleare, lo Stato Islamico, la situazione in Iraq, la pacificazione di contesti quali la Siria, il Libano, lo Yemen, l’Egitto, la Libia e il consolidamento democratico istituzionale della Tunisia.

di Domenico Letizia e Giulio Terzi di Sant’Agata

Il Garantista – 25 Agosto 2015

La contemporaneità sociale e politica globale forgia problematiche di carattere transnazionale che i difensori dei diritti umani e della democrazia hanno il dovere di affrontare e ribadire. Democrazia, stato di diritto, libertà politiche, civili e religiose non sono semplicemente principi cardine dell’Occidente da imporre ad altri sistemi politici, ma rappresentano fonti universali che tutti dovrebbero affermare come appartenenti alla propria identità nazionale. La Storia delle Istituzioni Politiche e delle Dottrine Politiche insegna che il pensiero giuridico occidentale ha dato un impulso decisivo alla formulazione e alla formazione dello “stato di diritto”, ma ciò non vuol dire che altre culture e sistemi sociali non abbiano visioni “giuridiche” all’insegna del rispetto della dignità umana. L’arretramento globale della democrazia è problematica che ha ben evidenziato il Partito Radicale e le sue ong “Nessuno tocchi Caino” e “Non c’è Pace senza Giustizia”. Lo stato di diritto occidentale e la democrazia è in trasformazione, un processo politico sociale che riporta alla mente il “socialismo reale” che tradì gli ideali socialisti per istaurare un nuovo dispotismo. Gli attacchi con droni, i migliaia di morti definiti “perdite collaterali”, il prevalere della ragion di stato, il potenziamento dell’industria bellica che valuta solo gli interessi delle grandi lobby e non le vere esigenze di difesa, la sottovalutazione dei fenomeni terroristici che agiscono a livello planetario e i silenzi sulle modalità di accoglienza, secondo i trattati internazionali, nell’affrontare la “problematica” delle migrazioni di massa, sono il risultato della non promozione dello stato di diritto che dovrebbe far leva su un rapporto sempre più stretto con la protezione dei diritti umani. Sulle migrazioni di massa, un verso stato di diritto dovrebbe dotarsi di condizioni politiche che rispettino la visione umanitaria di una democrazia, senza dimenticare la sostenibilità economico-sociale dei paesi interessati. La visione universalistica, che il Partito Radicale con la sfida transnazionale dello stato di diritto e il diritto alla conoscenza tenta di affrontare, parte da un evidente fondamento morale: ogni essere vivente della specie umana, semplicemente in virtù del proprio esistere, è titolare di diritti inviolabili. Ciò su cui bisogna far perno è la natura obbligatoria e vincolate delle norme sui diritti umani contenute nei vari trattati e risoluzioni delle Nazioni Unite che la quasi totalità degli stati membri aderenti alle Nazioni Unite ha sottoscritto. La crescente interazione tra tutela giurisdizionale dei singoli e gli obblighi degli Stati ha reso concretamente viva la postulazione di Marco Pannella che guarda ai “diritti umani come diritto naturale storicamente acquisito e quindi universale”. La sfida del mondo Mediterraneo, del mondo mediorientale e la conoscenza delle infinite problematiche interne al mondo musulmano mettono al centro la transizione comune dalla ragion di stato allo stato di diritto e alla liberal-democrazia. All’apice di tale visione vi è la conoscenza. Nuovamente, aiuta l’analisi della storia contemporanea, in particolare la storia della guerra in Iraq e le vicende siriane dell’ultimo quindicennio. La conoscenza e la corretta informazione rappresentano i fondamenti che consentono ai cittadini di esprimersi sulle nuove sfide globali, sull’influenza esercitata dai poteri finanziari, sulla pressione del capitalismo informazionale nei confronti della politica estera e di sicurezza dei sistemi politici contemporanei. Una sfida transnazionale può essere affrontata solo con una prospettiva transnazionale come la codificazione in ambito Onu di un nuovo diritto umano: “il diritto umano alla conoscenza”. Permane vivo il principio di un “segreto di stato” da mantenersi opportunamente celato alla cittadinanza e alle sue proiezioni parlamentari. Il “segreto di stato” eccessivo e ridondante, utilizzato non per ragioni democratiche, alimenta quelle “prerogative sovrane” o “ragion di stato” che continuano a configurarsi come il presupposto concettuale di un potere di riserva e velato, circoscritto in tempo di pace, ma destinato ad accrescere il proprio ambito d’azione e di irradiazione in un contesto eccezionale, come quello della guerra o di particolari crisi economiche e politiche. Soprattutto nel mondo mediorientale, le politiche estere dell’Europa e dell’Italia devono essere caratterizzate dalla trasparenza nei confronti dei cittadini, considerata la delicatezza delle tematiche. Numerose sfide: l’Iran e la trattativa sul nucleare, lo stato islamico, cercare di far avanzare lo stato di diritto in Iraq, la pacificazione di contesti quali la Siria, il Libano, lo Yemen, l’Egitto, la Libia e il consolidamento democratico istituzionale della Tunisia. A ciò accompagniamo il processo di democrazia reale in corso nelle democrazie occidentali. Il futuro riserva grandi interrogativi al quale la visione dello “stato di diritto, democratico, federalista e laico” potrebbe fornire una risposta concreta. In questo sforzo per la transizione allo stato di diritto vi sono degli elementi cardine da considerare come “fari” della democrazia: le libertà religiose e politiche e la parità di genere, il rispetto della dignità della donna. Un lavoro duro che richiede un intenso sforzo, innanzitutto di dialogo, in ambito internazionale, dalle agenzie Onu alle ambasciate, dal contatto con i rappresentati degli stati alle organizzazioni non governative, senza dimenticare organismi intergovernativi e sovranazionali molto importanti come la Lega Araba, l’Unione Africana e l’Unione Europea.

IL DOCUMENTO
Medio Oriente, il lascito delle primavere arabe
Pubblichiamo qui parte della relazione intitolata originariamente “La promozione di una transizione verso uno stato di diritto democratico, federalista e laico”, tenuta dall’Ambasciatore Giulio Terzi il 27 Luglio 2015 alla Conferenza “Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”. In Medio Oriente i “Regional Human Rights Regimes” sono stati pressoché inesistenti sino alla stagione delle Primavere Arabe. È vero che la Lega degli Stati Arabi ha creato una Commissione Araba per i Diritti Umani nel 1968, ma il suo orizzonte è stato sempre limitato alle conseguenze della guerra arabo-israeliana del ’67: l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania. È solo con la Carta Araba dei Diritti Umani, entrata in vigore nel 2008, che viene istituita l’omonima Commissione. Tuttavia gli strumenti regionali di cui dispone il Medio Oriente hanno ancora efficacia modesta; ciò che fa osservare ad alcuni esperti che la messa a punto di strumenti efficaci è il risultato, e non la causa, del grado di maturazione raggiunto dai Diritti Umani nei singoli contesti regionali. Il quadro è mutato dalla primavera 2012 quando la Lega Araba ha preso un atteggiamento incisivo nei confronti del regime siriano: motivandolo proprio con le gravissime violazioni dei Diritti Umani da parte di Damasco. Ha organizzato missioni di osservatori, poi terminate per gli ostacoli frapposti da Assad persino alle più urgenti forme di assistenza umanitaria. La Lega Araba ha altresì affermato l’urgenza di una transizione che assicuri una soluzione politica, che non solo ponga termine all’immane carneficina in Siria, ma dia spazio a riforme mirate allo stato di diritto. Vi è, nella linea della Lega Araba, l’anticipazione di un “ruolo trasformativo” che deve essere assolutamente sostenuto e incoraggiato; l’indicazione di una “legacy” positiva delle Primavere Arabe; della coscienza che i Diritti Umani costituiscono condizione imprescindibile di ogni transizione verso lo stato di diritto. Vi sono anche altri “building blocks” sui quali costruire una strutturata iniziativa italiana ed europea in ambito multilaterale, che potrebbe essere avviata, o perlomeno preparata già in occasione del Dibattito Generale Unga a New York il prossimo settembre:
a) la risoluzione del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, che lo scorso marzo ha creato un Forum permanente su democrazia, diritti umani, stato di diritto. Auspicherei che le conclusione di questa conferenza siano portate e discusse al forum;
b) la proposta di una Risoluzione Unga sulle “trasformazioni” necessarie a un compiuto stato di diritto, “codificando” risoluzioni e dichiarazioni già adottate per diverse situazioni di crisi;
c) il rilancio di una decisa azione Pesc sulla libertà di religione e di pensiero (Freedom of Religion and Belief – Forb). Si deve conferire molto più vigore all’attuazione delle “linee guida” adottate dai Ministri degli Esteri Ue nel giugno 2013, a seguito di una lunga, costante opera della diplomazia italiana, insieme ai partners euromediterranei, in particolare del gruppo “5+5”.
d) libertà religiosa, diritti della donna, diritti del fanciullo, educazione alla tolleranza e lotta all’estremismo dovrebbero essere i cinque principi trasformativi per orientare iniziative diplomatiche e multisettoriali nella promozione dello stato di diritto.

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