La strada dell’arbitrato era già stata avviata nel Marzo 2013. Le reazioni negative della stampa contro il tribunale di Amburgo, sono forzature che contrastano con
la decisione.
di Domenico Letizia – Il Garantista
25 Agosto 2015
La vicenda dei marò torna ad arroventare il dibattito dopo la pronuncia del Tribunale di Amburgo: «L’Italia e l’India devono sospendere ogni iniziativa giudiziaria in essere e non intraprenderne di nuove che possano aggravare la disputa». È questo il verdetto del Tribunale del Mare sulle vicende di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ritenuti responsabili dalla giurisdizione indiana dell’uccisione di due pescatori al largo delle coste dello Stato indiano nel febbraio del 2012. Una svolta importante, che l’ambasciatore Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri, valuta positivamente per il nostro Paese, «nonostante i tentativi di affossarne l’importanza».
Il governo italiano aveva chiesto, in attesa della conclusione del procedimento giudiziario, il rientro in patria di Salvatore Girone dall’India, e la permanenza in Italia di Massimiliano Latorre. Ma il tribunale di Amburgo ha invitato Italia e India a sospendere ogni iniziativa giudiziaria. Come va accolta questa decisione?
La richiesta che era stata avanzata al Tribunale del Mare di Amburgo era per l’adozione di misure cautelative che comportassero lo spostamento temporaneo al di fuori della giurisdizione indiana – in attesa di una decisione sul merito da parte di un tribunale arbitrale – nei confronti di Girone, rimandandolo in Italia o consegnandolo temporaneamente ad un paese terzo, e di misure cautelative nei confronti di Latorre isolandolo dalla giurisdizione indiana. Si trattava di chiedere delle misure cautelari nei confronti dei due marò. Il dipartimento ha consentito un’ampia esposizione delle posizioni italiane ed indiane per cedere a quelle che poi saranno “decisioni di sostanza”.
Cosa intendiamo con “decisioni di sostanza”?
Con “decisioni di sostanza” intendiamo la decisa posizione di un organo internazionale come il Tribunale del Mare di Amburgo. Oggi il Tribunale ha deciso che le misure cautelari possono solo essere adottate da un tribunale arbitrale, poiché, nonostante si sia detto non competente a decidere delle misure cautelari, ha ribadito che quest’ultime devono essere abbinate alla sostanza della decisione. Ovvero, non ha ravvisato quei motivi di urgenza e di immediatezza del danno che subirebbero Latorre e Girone nella situazione nella quale si trovano e ha ribadito che siccome l’Italia ha già avviato la procedura arbitrale, nel giro di poche settimane si aprirà un vero e proprio arbitrato su tutti gli aspetti di questa controversia. In quella sede, il tribunale deve decidere anche l’aspetto delle misure cautelari.
Sostanzialmente che cosa ha riconosciuto il Tribunale di Amburgo?
Il Tribunale di Amburgo ha riconosciuto che queste misure cautelari debbano essere riconosciute da un tribunale arbitrale. Siamo all’inizio di un processo che porterà a una decisione definitiva il 28 Settembre sulla base di ulteriori elementi che il tribunale ha richiesto. Noi lo sapevamo fin dall’inizio: i tempi di decisione di questa prima fase del Tribunale di Amburgo erano di 60 giorni per giungere ad una conclusione sulle misure cautelari salvo l’aggiunta di altri 30 giorni per esigenze di approfondimento.
Che cosa aspettarsi dal 28 Settembre?
Il governo italiano non ha ottenuto tutto quello che aveva richiesto, ovvero che Latorre e Girone fossero esclusi dalla competenza della giurisdizione indiana. Ma il nostro Paese è comunque riuscito ad ottenere alcuni punti di vantaggio che chi ha strumentalizzato la vicenda vuole affossare e ignorare.
Perché ritiene che la vicenda sia stata strumentalizzata?
Quelli che vedono come fumo negli occhi questa internazionalizzazione della controversia cominciano ad essere in difficoltà. Chi ha cercato di affossare le procedure, come ha fatto con successo nel corso degli ultimi due anni, ora deve fare i conti con la realtà. Le lobby affaristiche hanno fatto in modo che la strada dell’arbitrato venisse annunciata un’infinità di volte nel susseguirsi dei vari governi e contemporaneamente ogni volta congelata. La strada dell’arbitrato era già stata avviata nel marzo 2013, tant’è che i comunicati dell’11 e del 18 Marzo 2013, presenti sul sito della Farnesina, ribadivano che il governo, e non il ministro Terzi, decideva di trattenere i marò fino all’attuazione di una decisione arbitrale che l’Italia aveva lanciato. È agli atti che l’arbitrato era stato avviato e non vi era il bisogno di misure cautelari, all’epoca, poiché si era deciso di trattenere i marò in Italia. Le reazioni negative che si leggono sulla stampa, in seguito alla decisione del Tribunale di Amburgo, sono forzature che contrastano con la lettura del documento del tribunale.
Chi ci guadagna da queste manovre?
Si sfruttano questo tipo di controversie per trarre dei vantaggi più o meno loschi, non solo da parte italiana, per ribadire l’idea che l’arbitrato non funziona e che quindi è meglio qualche accordo sottobanco, consentendo all’India di processare i due marò in Italia per poi rimandarli nel nostro Paese. Uno scambio di detenuti, insomma, finalizzato a far tornare in India altre personalità indiane. Che ci sia ancora della gente che strumentalizzi con tali finalità è immondo. Purtroppo notiamo che autorevoli “penne” italiane si prestano a questo tipo di giochi. La cosa oggettiva è che l’avvio di questa procedura arbitrale è insoddisfacente sul piano delle misure cautelari ma positiva perché si delinea il riconoscimento, grazie ad Amburgo, che tale controversia deve essere regolata dalla Convenzione del diritto del mare. Su tale punto, l’India ha sempre sostenuto, al contrario di quello che dicevamo, che la legge indiana prevale sul diritto internazionale. Quello che deve far riflettere è la constatazione che la politica estera in Italia deve essere guidata dall’interesse nazionale del paese secondo le norme del diritto internazionale, secondo i trattati che abbiamo ratificato. È interesse nazionale avvalersi degli strumenti dati dal diritto internazionale – in questo caso la Convenzione del mare – per ribadire il principio dell’eguaglianza tra gli Stati. Quanto affermato da alcuni esponenti del nostro governo come il sottosegretario Sandro Gozi, che ha affermato di voler rimandare i marò in India perché lì dovevano essere processati, è viceversa controproducente.
Come valuta l’operato delle Nazioni Unite in merito alla vicenda?
Il coinvolgimento delle Nazioni Unite vi è stato fin dall’inizio, innanzitutto su nostro impulso. Abbiamo parlato dei marò al Segretario Generale e ai suoi funzionari un’infinità di volte. La questione è stata sollevata però dopo il marzo 2013; il governo italiano non si è reso più parte attiva nell’azione diplomatica ad ampio raggio che era stata condotta. Il nostro ambasciatore in India, nel marzo 2013, aveva visto come una grave lesione della propria immunità diplomatica l’ordine dato dal governo indiano a tutti gli aeroporti di limitarne la possibilità di movimento; una lesione all’immunità diplomatica che non si era mai vista dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. In quell’occasione l’Unione Europea è stata molto energica nella difesa dell’Italia. Non vi è alcun dubbio che noi siamo parte lesa. I due marò hanno visto lesi i loro diritti umani. Non c’è stato un giusto processo, non c’è stato un riconoscimento del compito che svolgevano, e sono stati vittime di ricostruzioni astratte messe in campo dall’India per motivi politici.
Il caso dei due Marò sarà oggetto di studio e dibattito per gli esperti di diritto internazionale. Secondo lei cosa rimarrà di tale vicenda dal punto di vista giurisdizionale?
Spero che vi sia almeno il consenso in ambito parlamentare all’avvio di una Commissione parlamentare di inchiesta. Le esperienze parlamentari delle Commissioni di Inchiesta non sono state sempre entusiasmanti negli ultimi venti anni e spesso sono state create semplicemente per assegnare qualche poltrona. Però, il minimo che si possa fare è accertare le responsabilità di quello che è avvenuto con quella scellerata giravolta del marzo 2013 e come si è giunti a tali vicende. Si tratta di capire chi ha compiuto degli errori e addirittura di appurare perché ci sono state delle pressioni che non avrebbero dovuto esservi. Occorre avviare un’indagine seria, non soltanto uno studio. Un’analisi che comporti conseguenze per chi ha commesso errori, e ne ha tratto anche dei profitti personali, proprio come scritto da Toni Capuozzo nel suo libro che presenta un elenco di tutti coloro che hanno ottenuto incarichi dopo questa vicenda. Sul piano dell’approfondimento giuridico sicuramente questo è un caso che rimarrà un importante precedente.