BREXIT, FREXIT E… ITALEXIT? Le elezioni francesi hanno superato il 1° turno, con un risultato di relativo equilibrio tra i due candidati, con Macron in testa di poco più di due punti percentuale; la differenza tra due settimane la faranno quindi gli orientamenti di voto dei candidati esclusi dal ballottaggio, i quali in queste prime ore paiono volersi schierare per il candidato “Europeista”. La decisione degli elettori inglesi a favore della Brexit ha rafforzato *concretamente* la tesi che ogni Stato membro deve essere pienamente libero di decidere se proseguire nel solco dei Trattati e nel processo d’integrazione Europea, o se esercitare il diritto sancito dall’art. 50 del Trattato, e uscire dall’Unione. Non però senza *gravi complicazioni* per chi sceglie quest’ultima strada: i Brexiters avevano fatto campagna promettendo risparmi per l’erario pari a quasi mezzo miliardo di dollari la settimana, e invece una vera e propria doccia fredda li aveva investiti quando le prime stime per il bilancio britannico si sono attestate su un possibile passivo – niente meno! – tra i 24,5 e i 72,8 miliardi di Euro… Per complicato che sia per Londra attuare questa decisione, la questione assume una complessità *certamente maggiore* per un grande Paese dell’Eurozona come la Francia. Sono passati molti anni, ha scritto recentemente l’Economist, da quando la Francia ha sperimentato *un serio tentativo* di riforme: la stagnazione, politica ed economica, è stata il segno distintivo di un Paese dove assai poco è cambiato per decenni, senza eccezione sia che vi fossero al potere partiti di destra come di sinistra… tant’è che Socialisti e Repubblicani sono stati eliminati al primo turno, lasciando il campo a Marine Le Pen, leader carismatico del FN, e a Emmanuel Macron, il leader del nuovissimo movimento liberale “En Marche!”. Una possibile Frexit sarebbe così guidata da un Governo marcatamente “sovranista”: ma abbandonare l’Euro richiederebbe anzitutto una strategia su come gestire l’indebitamento del Paese verso il resto del mondo. La Francia ha visto il suo debito crescere considerevolmente negli ultimi anni: ad oggi, ammonta a quasi il 100% del PIL, al di sotto del livello italiano, ma con problemi ormai simili per i crescenti oneri per gli interessi del debito sui mercati finanziari. La ricetta proposta dal Front National si basa sulla riconversione in Franchi del debito in Euro: secondo gli economisti del FN una quota corrispondente a circa 1,7 trilioni di Euro dell’intero debito pubblico – praticamente l’80% del totale – dovrebbe essere riconvertito in Franchi, legittimamente, secondo il FN, perché tale parte del debito è stata emessa in base alla legislazione nazionale francese, mentre per il restante 20%, emesso nel quadro di norme internazionali, rimarrebbe la denominazione in Euro. Secondo le agenzie di rating tutto ciò si tradurrebbe nel più grande default di debito sovrano mai avvenuto per un’economia moderna, dieci volte più grande della ristrutturazione del debito greco nel 2012. Agenzie come Standard&Poor e Moody hanno già messo le mani avanti: “Se un Paese debitore non aderisce agli obblighi contrattuali con i creditori, compresi i pagamenti nella moneta stabilità per contratto, si dichiara lo stato di insolvenza”. Ma personalmente trovo che le considerazioni di teoria economica e di legittimità giuridica dovrebbero essere integrate da altre di almeno uguale importanza: diversamente dai casi di default del debito di Paesi latinoamericani o est europei, un possibile default francese dovrebbe essere consentito, se non pienamente concordato, all’interno dell’Eurozona alla quale appartiene una quota importante di creditori, e non è quindi casuale che Marine Le Pen stia insistendo negli ultimi tempi sulla sua volontà di un’ “uscita ordinata” dall’Euro, lanciando l’idea di un Franco sempre legato all’Euro da un sistema concordato di fluttuazione ristretta – analogo all’ECU – European Currency Unit, l’antesignano dell’Euro – che rassicuri Governi partner e Paesi creditori che Parigi attuerà politiche economiche e monetarie “non dirompenti” per tutti gli altri. Ma attenzione: è evidente che una banda di fluttuazione del 2% o 3%, tipo ECU, se pur dovesse tranquillizzare i restanti membri dell’Eurozona, servirebbe *ben poco* a quella drastica riduzione del debito pubblico che rappresenta, per il FN, uno dei due scopi fondamentali del ritorno al Franco… L’attenta analisi della situazione francese meriterebbe anche l’attenzione di chi – forse con una certa superficialità – propone “ricette francesi” per l’economia italiana, che fra l’altro si muove con handicap strutturali superiori a quelli di Parigi. Fatto sta che la crisi di fiducia nell’Unione Europea è registrata da diversi anni da Eurobarometro: un sondaggio di Pagnoncelli realizzato in Italia tra il 7 e 9 febbraio segnalava un 59% di risposte negative alla domanda “Lei quanta fiducia ha nell’UE?”, un 36% di risposte positive e un 5% di “non so”. Sarebbe quindi ingenuo continuare a far finta di non “vedere” i problemi: immigrazione incontrollata, senso di insicurezza di fronte all’ondata del Jihadismo e della radicalizzazione islamica, deludenti performances nelle principali crisi che toccano l’Unione – dalla Crimea alla Siria, dal Medio Oriente alla Libia – e incapacità di affermare uno Stato di Diritto compiuto in Paesi UE dove corruzione e interessi privati nella gestione della cosa pubblica sono particolarmente diffusi; questi sono a mio avviso i motivi principali della crescente diffidenza verso Bruxelles da parte di fasce crescenti di cittadini. Ma uno spicca su tutti: la crescente polarizzazione della crescita e l’accumulo squilibrato della ricchezza nelle mani di pochi, è forse la causa che più di ogni altra genera disaffezione verso l’Europa (è bene non dimenticare come la “crescita zero” nell’Eurozona sia figlia anche della catastrofe dei “sub-prime mortgages” e della crisi esplosa con il fallimento di Lehman Brothers in USA…). Come negare che la disoccupazione e la perdita di milioni di posti di lavoro tra il 2008 e il 2012, l’aumento della povertà e la crescita dell’indebitamento nei Paesi Mediterranei abbiano reso ancor più stridente il divario di ricchezza tra l’1% dei ricchi e il 99% della cittadinanza…? Tutti questi sono motivi che rendono comprensibile il disagio di chi – giustamente – chiede sempre più a gran voce un’altra Europa… A meno di 2 settimane dai ballottaggi francesi, VOI COSA NE PENSATE?
Pubblicato sulla mia pagina facebook, qui il post originale.