CYBER-GUERRE: LA SICUREZZA CIBERNETICA CI RIGUARDA DA VICINO…? Gli “attacchi cyber” in grado di destabilizzare delicati scenari geopolitici e di minacciare l’interesse nazionale dell’Italia paiono essere sempre più frequenti. Lo scorso maggio, la quantità di notizie fake news messe in circolazione da gruppi di hakers circa la situazione in Qatar è stata letteralmente senza precedenti; ancor prima, nell’agosto 2012, il governo indiano accusò duramente il Pakistan di “hackeraggio” volto a provocare rivolte e violenze sul territorio indiano; più recentemente, a giugno del 2017, hacker Vietnamiti annunciarono di avere a disposizione le intere registraizoni dei colloqui tra il Presidente Duterte e Donald Trump… L’amministrazione Obama colpì con l’espulsione dagli Stati Uniti diversi diplomatici russi a seguito delle inchieste sulle violazioni dei sistemi informatici dei democratici durante la campagna elettorale, ma si sospetta che haker russi abbiano continuato a “lavorare” per condizionare elezioni anche Europee. A prescindere dalle sensibilità politiche di ognuno, l’esistenza di un *problema serio* è dinnanzi agli occhi di tutti: gli sforzi internazionali per regolamentare il campo delle “cyber guerre” sono destinati a intensificarsi. Nell’ultima decade, anche presso le Nazioni Unite si sono registrati tentativi in questa direzione da parte dei membri del Consiglio di Sicurezza ONU, ma le condizioni geopolitiche, le divergenze di interessi e l’asimmetria di posizioni in materia tra le diverse nazioni, hanno finora impedito di addivenire a una sorta di “convenzione di Ginevra” in campo cibernetico. Gli analisti militari concordano però sul fatto che è solo questione di tempo, prima che la risposta di uno Stato a massicci attacchi alle proprie infrastrutture tecnologiche non veda come risposta una *sanguinosa reazione* militare “convenzionale”: tramite un attacco cyber è oggi possibile bloccare le infrastrutture strategiche di un paese, quali reti informatiche, centrali energetiche, ospedali…di lì a una risposta militare a titolo di rappresaglia, il passo sarebbe brevissimo. La cooperazione tra stati dovrebbe allora orientarsi a definire quali tipi di “interferenze” siano sanzionabili con delle reazioni – sanzioni o ritorsioni – a loro volta in campo cibernetica, senza l’attivazione di armi vere e proprie. Uno step in questa direzione è stato raggiunto nella dichiarazione finale del G7 di Taormina, che potrebbe costituire una buona piattaforma negoziale tra UE, USA, Cina e Russia. L’UE ha adottato a giugno 2016 una ampia gamma di regole per la protezione nel campo del Data Protection and Network and Information Security, e i prossimi mesi vedranno una sostanziale trasformazione dell’ambiente cibernetico europeo. Le misure fin qui adottate prevedono una cooperazione pubblico-privato, con regole chiare per la prevenzione, la resilienza, e la risposta ad attacchi informatici, e avranno un impatto diretto ed immediato sul sistema europeo di sicurezza, difesa e antiterrorismo. Lo scopo è recuperare il (molto) tempo perso, rendendo l’UE un player affidabile e competitivo in questo settore. Sino allo scorso anno l’Unione aveva reagito lentamente e in modo inefficace a queste sfide, per una serie di ragioni:
– la natura stessa dell’Unione, con l’attribuzione di competenze in materia di politica estera e difesa ai singoli Stati membri;
– la cooperazione fra intelligence è sempre stato un punto debole e mai sufficientemente implementato all’interno dell’Unione;
– Internet è nata negli USA, inutile negarlo, e l’Europa ne ha sempre pagato un “gap”.
Ciò detto, questi temi sono ormai all’ordine del giorno, e ci costringono a una serie riflessione. Come membri NATO, le nazioni europee hanno lavorato in questa direzione: il Manuale di Tallin, redatto nella primavera 2017, è un’utilissima e attualissima raccolta di protocolli e best practices nel campo della cyberguerra. Inoltre, proprio la NATO ha istituito un Cohoperative Center for Defence and Excellence, che istituisce un altro grande progresso in questo settore. Un recente sondaggio del Pew Research Center dimostra come la percentuale di popolazione (oltre il 50%) di persone che si ritengono potenzialmente minacciate dal terrorismo – incluse forme di cyberterrorismo – sia analoga a quanti temono gli effetti del cambiamento climatico, ed è interessante notare come questa preoccupazione venga addirittura prima di quelle relative a problemi economici. La tecnologia ormai, che ci piaccia o meno, pervade ogni aspetto della vita quotidiana, e ha avuto e avrà anche importanti influssi sull’informazione e sulla *formazione* delle opinioni pubbliche. Anche per queste ragioni, una cooperazione in termini di cybersicurezza tra le nazioni occidentali è quantomai necessaria… Ho detto la mia, ma VOI COSA NE PENSATE…?
Pubblicato sulla mia pagina facebook, qui il post originale.