Presentazione del DVD realizzato dalla Associazione Nazionale Dalmata alla Camera dei Deputati
Roma, 16 Novembre 2017
Il filmato di cui abbiamo appena visto un estratto è la prova di quanto meritoria sia l’attività svolta dall’Associazione Nazionale Dalmata, che è stata sostenuta dalla Fondazione Roma in importanti iniziative come la mostra organizzata all’inizio di quest’anno al Complesso del Vittoriano su: ”Foibe: dalla Tragedia all’Esodo”. Ulteriore dimostrazione della grande sensibilità che il Presidente della Fondazione, Prof. Emmanuele Emanuele, dimostra da sempre, per dar valore all’identità culturale e nazionale del nostro Paese. Un’identità di cui la memoria delle vicende drammatiche che hanno caratterizzato la storia di gran parte del XX Secolo sul nostro confine orientale, non può assolutamente essere offuscata o peggio ancora ignorata, come invece avvenuto purtroppo per misere strumentazioni politiche nei primi decenni dell’ultimo dopoguerra.
Nel filmato, tre reduci dal Fronte orientale commentano con grande delusione, e rabbia, la sorte di Sebenico, di Fiume e degli altri territori che in nostri principali alleati nella Grande Guerra hanno orami deciso di levare all’Italia: in nome del principio Wilsoniano di nazionalità, fatto valere ad esclusivo vantaggio delle componenti etniche, serbe, croate e slovene nella nuova Jugoslavia, a spese di comunità numerose, di centinaia di migliaia di italiani, proprio in quei territori.
Il valore documentario delle immagini che abbiamo oggi visto è quello di dare vita ed emozioni, nel momento in cui ricorrono tanti anniversari sulla Grande Guerra, alla storia diplomatica. Essa ci dice che il trattato di Rapallo fu firmato il 12 novembre 1920, per sancire un accordo con il quale l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabilivano confini dei due Regni e rispettive sovranità, nel rispetto reciproco dei principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli.
Per molti italiani esso rappresentò la conclusione del processo risorgimentale di unificazione italiana sino al confine orientale alpino e l’annessione al Regno d’Italia di Gorizia, Trieste, Pola e Zara. Tuttavia, le premesse sulle quali il Trattato poggiava, costituivano una storia dolorosa e controversa che non avrebbe mancato di produrre conseguenze immediate, soprattutto in politica interna, e molto più a lungo termine durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Infatti, allo scoppio della Prima guerra mondiale, il Ministro degli esteri Sidney Sonnino non sembrava percepire le dimensioni epocali di un conflitto tra nazionalità di cui l’uccisione a Sarajevo dell’Arciduca Francesco Ferdinando, era soltanto la punta dell’iceberg. Sonnino pensava che la guerra sarebbe stata breve e l’impero asburgico sarebbe sopravvissuto.
Con il Patto di Londra l’Italia dell’aprile 1915 s’impegnava ad entrare in guerra a fianco di Russia, Francia e Inghilterra in cambio delle regioni del Trentino, dell’Alto Adige, della Venezia Giulia, con i territori di Trieste, Gorizia e Gradisca, Pola, con parte significativa dell’Istria e della Dalmazia, le isole occidentali del Quarnaro, con Zara, Sebenico, Traù, e nell’entroterra Tenin, ma senza Spalato, Ragusa, Cattaro, Perasto e le altre città meridionali. Inoltre era garantita la penetrazione economica. Il 24 maggio 1915, l’Italia dichiarò guerra all’Austria.
Il problema dell’applicabilità del Patto di Londra alla Dalmazia si manifestò già in piena prima guerra mondiale, il 20 luglio 1917, con la firma, sull’isola di Corfù, della cosiddetta Dichiarazione di Corfù da parte del comitato Jugoslavo con i rappresentanti del Regno di Serbia, sponsorizzati politicamente da Gran Bretagna e Francia, in virtù del principio dell’autodeterminazione dei popoli. L’accordo rese imprescindibile la creazione di un Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Dopo oltre tre anni la situazione si risolse a favore dell’Intesa con la Battaglia di Vittorio Veneto.
Alla Conferenza per la pace i rappresentanti dell’Italia (Vittorio Emanuele Orlando e il Ministro per gli affari esteri Sidney Sonnino) chiesero l’applicazione integrale del Patto di Londra, e, in aggiunta, l’annessione della città di Fiume. Tali richieste venivano subito contrastate dalle altre potenze vincitrici favorevoli ai principi di Wilson, che non aveva sottoscritto il Patto di Londra.
La questione dei territori italiani fu dibattuta a partire da quel febbraio, e Orlando si ritrovò di fronte l’ostilità degli jugoslavi, fortemente sostenuti da Wilson che propose uno stato libero per Fiume. Si inserisce qui la decisione assai discutibile di Vittorio Emanuele Orlando di lasciare la Conferenza di Pace per rientrare in Italia ed essere accolto da un bagno di folla che lo acclamava, e del suo ritorno a Parigi convinto di poter dimostrare il valore del sostegno popolare al tavolo dei negoziati.
La realtà fu ben diversa, Orlando dovette dimettersi e gli subentrò Francesco Saverio Nitti, con Tommaso Tittoni agli Esteri. Le tappe successive furono il Trattato di Saint-Germain, la breve impresa fiumana, il cambio di Governo con Giolitti alla guida e Carlo Sforza agli Esteri, che allo scoppio della prima guerra mondiale era politicamente collocato nelle file dell’interventismo democratico. La sua visione era quella mazziniana e risorgimentale: la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico sarebbe stata ineluttabile con il risveglio delle nazionalità oppresse.
Diplomatico di carriera, tra il 1916 e il 1918, Sforza aveva rivestito la carica di ministro plenipotenziario presso il Governo serbo in esilio e si trovò a gestire i rapporti transadriatici, in contrasto con il suo superiore politico Sidney Sonnino. In tale veste aveva stretto ottimi rapporti con i rappresentanti politici serbi, d’occupazione italiane in Albania in vista di una normalizzazione dei rapporti italo-jugoslavi. Normalizzazione di fatto avvenuta negli anni successivi senza peraltro mai sanare le profonde ferite per le numerose collettività italiane rimaste oltre la frontiera, dalle quali provenivano migliaia di profughi.
Il filmato che ci viene proposto oggi non può essere interpretato separatamente da altri importanti lavori di documentazione e studio realizzati in precedenza dalla Associazione Nazionale Dalmata: in particolare quei lavori che hanno inteso assicurare che nella nostra memoria collettiva di italiani si radichi con ben maggior profondità di quanto sinora avvenuto il valore dell’italianità e dell’identità culturale presente in numerose città e territori dell’Istria e della Dalmazia.
Credo che il filmato richieda una seria riflessione sulle precise e gravi responsabilità politiche di Governi, Partiti e personalità del nostro Paese che hanno fatto di tutto per cancellare memoria e identità nazionale, cedendo senza alcuna necessità componenti fondamentali di una Sovranità che proprio la Costituzione vigente sancisce spettare esclusivamente al popolo italiano. Una sovranità che invece è stata mercanteggiata e ceduta nell’oscurità di qualche stanza di potere senza rendere alcun conto all’opinione pubblica, come nell’imperdonabile vicenda del Trattato di Osimo. Una vicenda i cui “padri spirituali” ancora occupano posizioni di alto profilo nella nostra vita politica.
Suscita sempre grande turbamento rievocare le sofferenze patite dai nostri connazionali in Istria, Fiume e Dalmazia, durante e alla fine della II Guerra Mondiale. Le atrocità, le eliminazioni di massa, le violenze inflitte ai nostri Connazionali in quegli anni prefigurano certamente quella “pulizia etnica” che diventerà la strategia dell’orrore nei conflitti riesplosi nei Balcani Occidentali all’inizio degli anni ’90.
Tra Croati, Serbi, Mussulmani e Bosniaci, si scateneranno nuovamente – con la dissoluzione delle Jugoslavia – i demoni di uno spaventoso odio capace di trasformare l’affermazione legittima dell’identità nazionale in volontà distruttiva, intollerante e perfino razzista contro i propri vicini di casa, con i quali si era convissuto per secoli.
Per anni si è finto di credere che l’esodo forzato degli italiani da quelle terre potesse essere coperto dietro una maschera di silenzio, voluto dall’omertà di una parte della nostra classe politica con il regime di Tito, in nome di una falsa Ragion di Stato, che non turbasse alcuna suscettibilità in una Europa divisa. In questo modo si è però elusa una precisa responsabilità del nostro Paese, si è fatto un gravissimo torto alle tante vittime, ai loro famigliari, agli italiani costretti all’esodo, si è ritardata anche la riconciliazione tra l’Italia e i paesi nostri vicini sul confine orientale. “Gli episodi di persecuzione anti-italiana devono appartenere alla memoria di tutti i cittadini di uno Stato che voglia veramente affrancarsi dagli errori commessi con la Seconda Guerra Mondiale, come aveva coraggiosamente iniziato a fare Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi.
Sono stati proprio i “silenzi” sulle sofferenze subite a privare l’opinione pubblica italiana di fondamentali elementi di giudizio nei confronti del comunismo jugoslavo e a impedirci di non accettare quello che invocava e otteneva alla fine anni ’60 il PCI: la rinuncia definitiva alla Sovranità italiana sulla “Zona B”, decisa con il Trattato di Osimo.
Molto fu fatto e detto in quegli anni per confondere l’opinione pubblica, con tecniche che vediamo ben utilizzate anche ai nostri giorni. Ci fu persino una chiara strategia del Governo dell’epoca per negare lo Status della Zona B e la Sovranità dell’Italia in tale Regione.
Vorrei ricordare tra i lavori pubblicati a cura dell’Associazione Nazionale Dalmata il rapporto “Trattamento degli italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943”, che documenta con un impressionante numero di testimonianze, scritti e fotografie, l’immane eccidio, le torture, le inumane detenzioni e la pulizia etnica operata contro gli italiani dalle milizie comuniste, soprattutto croate e slave, dopo l’8 settembre nei territori italiani dell’ex Jugoslavia. Come il Dott. Guido Cace scrive nella presentazione del rapporto, “… la tragedia scaturita con le tristemente famose FOIBE costituisce, senza dubbio alcuno, la causa scatenante dell’esodo di 350.000 italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Il volume fu pubblicato a cura dei Servizi Segreti della Marina Militare, nel 1946, per essere presentato alla Conferenza di Parigi per il Trattato di Pace, ma ebbe una strana storia: non ebbe alcuna diffusione al di fuori del circuito diplomatico, perché evidentemente non si voleva che l’opinione pubblica venisse a conoscenza dell’immane tragedia che si era consumata a danno degli italiani”.
Leggendo questi documenti, emerge con chiarezza che ben poche differenze vi sono state tra l’efferatezza dei crimini perpetrati da partigiani e forze regolari jugoslave contro gli italiani e l’efferatezza dei crimini nazisti. A questo riguardo, merita soffermarsi sullo straordinario discorso pronunciato alla Conferenza di pace da Alcide De Gasperi il 10 agosto 1946: è un discorso molto duro, amaro, per il trattamento riservato all’Italia in un Trattato presentatogli come “cosa già fatta” dai Paesi vincitori partecipanti alla Conferenza.
Nonostante la “cobelligeranza” dichiarata dall’Italia dopo l’8 settembre, e il contributo dato agli Alleati dalle nostre unità partigiane, nessun riconoscimento veniva dato all’Italia: essa era considerata alla stregua di Paese “ex nemico”, ma con formulazioni perfino peggiorative rispetto ad alcuni di essi. De Gasperi stigmatizzava la frase: “… sotto la pressione degli avvenimenti militari il regime fascista fu rovesciato”, contenuta nel Preambolo del Trattato, perché disconosceva il ruolo del movimento partigiano e anche delle numerose unità regolari mobilitate contro i Tedeschi.
Ebbene, un punto assolutamente centrale nel discorso di De Gasperi riguardava appunto Trieste” e delineava con grande preveggenza gli enormi rischi che le Comunità italiane stavano correndo nelle zone occupate dalle forze di Tito.
Il carattere punitivo del Trattato – sottolineava il Presidente del Consiglio – risulta anche dalle sue clausole territoriali… Come sarà possibile, obiettano i triestini, mantenere l’ordine in uno Stato non è accetto né agli uni né agli altri..? Voi rinserrate nella facile gabbia di uno statuto i due contendenti, e poi pretendete che non vengano alle mani… avete dovuto far torto all’Italia rinnegando la linea etnica; avete abbandonato alla Jugoslavia la zona di Parenzo e Pola senza ricordare la Carta atlantica che riconosce alle popolazioni il diritto di consultazione preventivo sui cambiamenti territoriali… il totale degli italiani esclusi dall’Italia è di 446.000″, concludeva De Gasperi.
A quel punto, la diffusione pubblica del Rapporto non poteva essere un argomento molto forte per lo statista? Tanto più che il Diktat punitivo e forse neppure un Trattato ebbe come disse giustamente l’Ambasciatore Luigi Vittorio Ferraris, era manifesto nel modo in cui De Gasperi venne accolto a Parigi.
James Byrnes, segretario di Stato americano, raccontò nelle sue memorie: “De Gasperi parlò con tatto, ma con dignità e coraggio. Quando lasciò il podio per tornare al posto assegnatogli nell’ultima fila scese nella navata centrale della sala silenziosamente passando accanto a molte persone che lo sconoscevano. Nessuno gli parlò. La cosa mi fece impressione e mi sembrò inutilmente crudele. Così quando passò accanto alla delegazione degli Stati Uniti, gli tesi la mano e strinsi la sua. Poi gli inviai un messaggio, invitandolo nel mio appartamento nel pomeriggio. Volevo far coraggio ad un uomo che aveva sofferto personalmente sotto Mussolini ed ora stava soffrendo ad opera delle Nazioni alleate”. Dopo De Gasperi parlò Kardelj l’ex partigiano comunista sloveno, che subito lo attaccò.
Il rapporto sul “Trattamento degli Italiani” da parte Jugoslava dopo l’8 settembre 1943 poteva certamente essere reso pubblico e utilizzato a Londra subito dopo, ma la mossa era impossibile da realizzarsi, perché avrebbe creato una frattura con il Partito Comunista, sodale dei comunisti jugoslavi, laddove il PCI e il PSI erano parte essenziale della coalizione dei Governi De Gasperi.
Si spiega forse come la pragmatica scorciatoia della politica, ma non si giustifica assolutamente dinanzi ai più alti valori della Sovranità e dell’interesse nazionale, quell’atroce silenzio sulle Foibe e sulle violenze subite da nostri connazionali. Ma si spiega assai meno che la consegna del silenzio sia proseguita per altri decenni, sino al Trattato di Osimo, e oltre, decenni nei quali sovranità e identità nazionale non sono state certo arricchite da questo “vuoto di memoria”.