Roma, 7 marzo 2017
- Conclusioni:gli scambi e l’economia globale nell’era Trump.
- La Fondazione Luigi Einaudi crea il Dipartimento di Relazioni Internazionali.
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1.La vittoria di Trump alle elezioni dell’8 novembre è stata immediatamente seguita da un balzo che non si verificava da anni nei mercati azionari e nelle aspettative degli imprenditori. Ciò è avvenuto soprattutto nei comparti favoriti dalle riduzioni fiscali annunciate da Trump, dalla deregolamentazione e dal rilancio degli investimenti contenuti nel suo programma. Le nomine di figure chiave di Wall Street ai posti più importanti per la politica economica hanno provocato un’ascesa ancor più significativa per azioni e profitti delle società finanziarie americane : tra l’elezione di Trump e fine anno ,i profitti delle sei principali banche statunitensi sono stati di oltre trenta miliardi di dollari.
L’effetto Trump ha rafforzato la ripresa statunitense. Tuttavia essa era già in atto da inizio 2016 negli ordinativi, nel ciclo delle scorte, nell’andamento dei futures, e nella risalita dei prezzi. La “reflazione dei mercati” aveva superato le spinte deflattive. Anche in Europa il 2016 ha segnato aumento dell’occupazione, crescita nell’Eurozona all’1,7% , inflazione in febbraio al 2% su base annua. Negli Usa da diversi mesi la Federal Reserve sta valutando un rialzo dei tassi, in presenza di un aumento dei prezzi attorno al 2%.La dinamica coinvolge l’altra principale economia globale. In Cina i prezzi al consumo un anno fa calavano del 6% annuo; ora stanno aumentando del 7%.La crescita cinese, pur ridimensionata rispetto alle aspettative, prosegue al disopra del 6%,mentre appaiono ridimensionate le forti preoccupazioni dello scorso anno per un’esplosione del debito interno, superiore al 160% . Che la crescita sia basata su “fondamentali” che hanno preceduto la nuova amministrazione, lo si desume anche dal fatto che i mercati azionari hanno proseguito la loro corsa anche dopo il discorso di Trump al Congresso, considerato deludente per Wall Street .Infatti il discorso ha posto tutto l’accento su due questioni -sanita’ e immigrazione-che possono solo ritardare una drastica riduzione delle imposte sulla quale il Presidente è rimasto evasivo.
Il quadro congiunturale è positivo .Vi sono quindi motivi immediati, oltre che strutturali e di più lungo periodo, di grande importanza per l’Europa e per il nostro Paese, che consigliano una strategia comuneper che da equilibrare a livello globale le spinte neo-protezioniste della Casa Bianca e per incoraggiare le correzioni di rotta che esponenti autorevoli dell’Amministrazione Trump hanno già espresso.
Wilbur Ross ,Segretario al Commercio, si è pronunciato per un meccanismo di collaborazione con il Messico che stabilizzi il rapporto peso-dollaro, e ha ridimensionato i timori di immediato smantellamento del Nafta, in una qualche sintonia con quanto detto dal Presidente Trump al Primo Ministro canadese Trudeau nella visita a Washington. Il Segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha riportato alla “trattazione ordinaria” il proposito di dichiarare formalmente la Cina ” currency manipulator “:ipotesi che avrebbe riflessi pesanti sul WTO e che sembra ora meno prioritaria. Entrambi i temi, Nafta e Cina, erano priorità dichiarate da Trump quali azioni da intraprendere dal suo primo giorno nell’ Oval office.
Le relazioni Usa-Cina coinvolgono una molteplicità di interessi europei che vanno ben oltre l’accesso al mercato cinese, la protezione degli investimenti e della proprietà intellettuale, le regole della finanza globale, gli standard e le regole della concorrenza. La rinuncia di Washington al TPP indebolisce non soltanto un’integrazione economica regionale mirata alla crescita attraverso la liberalizzazione degli scambi. Indebolisce soprattutto gli aspetti più innovativi di quella strategia: norme condivise e internazionalmente vincolanti in tema di ambiente, lavoro, investimenti industriali, trasferimenti di tecnologie, cooperazione allo sviluppo. Si voleva avvicinare America e Occidente a una realtà geopolitica seicento milioni di consumatori, in avanzata integrazione grazie all’Asean. Le finalità erano economiche quanto politiche, culturali e di sicurezza.
La cancellazione del TPP apre alla Cina un percorso alternativo ,da tempo nelle sue priorità : un “moltiplicatore di potenza” per le sue ambizioni regionali e globali. E’ questo il disegno di Trump? Le porte dell’intera Asia del Pacifico sono ora spalancate per Pechino . Xi Jinping può lavorare serenamente alla “Regional Comprehensive Economic Partnership “ con tutti i paesi del sud Est Asiatico e senza l’America. Un progetto che si aggiunge a un’altra abile mossa geopolitica oltre che economiche: il lancio dell’”Asia Infrastructure Investment Bank ”, con molti dei firmatari del defunto TPP e di alcuni europei, tra i quali l’Italia, interessati all’Asia del Pacifico.
Contraddizioni e incertezze impongono la massima coesione e una decisa volontà politica ai Paesi europei. Dogmatismi che confondano interessi nazionali da promuovere e principi di sovranità da tutelare non devono assolutamente distruggere la Governance multilaterale che regola le relazioni economiche a livello globale e regionale.
Le regole del commercio globale hanno resistito negli ultimi anni a temibili scosse. La crescita cinese ha provocato forti risentimenti per perdita e delocalizzazione di posti di lavoro. La crisi finanziaria ha rinfocolato il protezionismo. Diseguaglianza e polarizzazione della ricchezza e un sempre più appariscente potere del mondo della finanza su quello della politica hanno causato perdite di consenso alla democrazia liberale e danneggiato l’ideale europeo. Tutto ciò non ha impedito al WTO di preservare regole sino efficaci, di contrastare il protezionismo e le guerre commerciali. Preoccupa perciò la notizia che la Casa Bianca ha chiesto all’US Trade Representative un rapporto per individuare quali misure unilaterali gli Stati Uniti possano adottare verso Paesi ritenuti concorrenti sleali, senza passare attraverso il WTO. E’ stato solo il WTO a consentire a Washington di sanzionare gli esportatori cinesi in settori critici, come quelli dell’auto, delle energie rinnovabili, delle terre rare. Preferire al WTO forme di unilateralismo protezionista che evocano la “tariffa Smoot-Hawley” , madre delle guerre commerciali durante la Grande Depressione, determinerebbe, in un mondo globale che non può essere “disinventato” ,conseguenze disastrose. È compito dei Paesi Europei evitarlo.
- La Fondazione Luigi Einaudi crea il Dipartimento di Relazioni Internazionali .E’ il momento di accrescere gli sforzi nell’affermare anche nelle relazioni internazionali le libertà democratiche, l’universalità dei diritti umani, la legalità nella gestione della cosa pubblica e nelle dinamiche di mercato.
La pubblicazione celebrativa del “primo mezzo secolo” della Fondazione Luigi Einaudi metteva in luce come uno dei punti di forza della Fondazione e in particolare della sua Scuola di Liberalismo fosse sempre stato l’ampio respiro internazionale, arricchito da incontri e contatti con personalità e istituzioni europee. Il sito web della Fondazione consente di riascoltare alcune delle bellissime lezioni di questi ultimi anni che evidenziano radice di un pensiero liberale nato dall’Illuminismo, ispiratore di quelle tre “rivoluzioni liberali”- americana, inglese e francese, come insegna Enrico Morbelli- che hanno plasmato l’Occidente , la nostra Unità nazionale, e dato vigore ai principi di libertà e di dignità dell’uomo. La decisione della Fondazione di creare il Dipartimento di Relazioni Internazionali intende assicurare che la grande ricchezza del pensiero liberale sia ancor meglio riflessa nell’attualità dei dibattiti sulla politica estera: nell’ambizione di condividere un comune percorso con quanti vogliano affermare l’interesse nazionale ed europeo in modo coerente con valori fondamentali e irrinunciabili per la comunità internazionale.
Sono davvero riconoscente al Presidente Avv. Giuseppe Benedetto e al Consiglio di Amministrazione per avermi affidato la guida di questo progetto . Sono molto lieto dell’autorevole contributo e del formidabile impulso che il Professor Valerio De Luca sta già assicurando, così come della collaborazione del coordinatore dott.ssa Grazia Capone, e del Capo Segreteria Tecnica, dott. Matteo Catania.
La presenza oggi di illustri Ambasciatori, ai quali rivolgo il più sentito ringraziamento per essere qui, e l’attenzione che essi riservano alla nostra politica estera e al ruolo dell’Italia nel mondo suggeriscono alcune brevi considerazioni sui temi che ritengo dovrebbero essere al centro dell’attività del Dipartimento .
In primo luogo mi sembra non vi sia per l’Italia dimensione più rilevante della “Diplomazia della Cultura” nell’affermare la sua proiezione globale e il proprio interesse nazionale. Sono molto lieto che la Professoressa Federica Olivares, che anima da tempo iniziative universitarie e ricerche di grande spessore in questa direzione, abbia accolto l’invito a far parte del nostro Advisory Board. Nelle relazioni tra gli Stati , così come in una visione liberale della società, stabilità e progresso civile sono gli orizzonti di una Cultura imperniata su Stato di diritto, legalità, libertà fondamentali e diritti umani.
Nella “Agenda for Peace” proposta dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali nel 1992, veniva per la prima volta radicata nelle strategie delle Nazioni Unite una fondamentale correlazione tra Sicurezza, Diritti Umani, e Sviluppo. A un quarto di secolo, la saldatura tra Sicurezza, Diritti umani e Sviluppo è ancora lontana dal realizzarsi. Da una quindicina d’anni Diritti umani e Stato di Diritto stanno arretrando. Si è come fermata l’attrazione espansiva della democrazia liberale. La formula “Sicurezza/Diritti umani/Sviluppo” si scompone, e questo non fa che alimentare l’arbitrario uso della forza invece del ricorso al Diritto internazionale. L’indifferenza ai Diritti Umani lascia impuniti i crimini contro l’umanità. L’ondata della radicalizzazione e del Jihadismo trova nell’arretramento dello Stato di Diritto terreno fertile. Nell’economia globale restano inalterate le pratiche predatorie e corruttive di una certa finanza. Attività industriali non “socialmente responsabili” deturpano i “common goods” dell’ambiente e del clima. Le trasformazioni geopolitiche seguite alle Primavere Arabe e al riemerso contrasto Est Ovest hanno innescato accesi dibattiti sul rapporto tra Democrazia liberale e Islam politico, sulla correlazione tra terrorismo e radicalizzazione. Il tema della “ Freedom of Religion and Belief ”-la libertà di Religione , di Credere o di non Credere- sarà pure centrale al dibattito su sicurezza internazionale, Diritti umani e Sviluppo economico che il Dipartimento di Relazioni Internazionali della Fondazione Luigi Einaudi si impegna di promuovere, auspicando il Vostro autorevole sostegno e la Vostra preziosa collaborazione.