17 Marzo 2015
Le Monde, quotidiano di grande autorevolezza e bandiera dell’informazione progressista francese, descriveva così il 6 marzo scorso il clima creatosi a Mosca dopo l’assassinio di Boris Nemtsov:
“Russie: la strategie du complot permanent.
La teoria del complotto prende sempre più spazio a Mosca. Benché l’inchiesta sull’assassinio dell’oppositore Boris Nemtsov, ucciso nel cuore della capitale russa il 27 febbraio, non abbia attualmente fornito ancora alcuna pista – sappiamo che poi, il’8 marzo, le Autorità russe hanno indicato una oscura pista cecena – il potere russo, scrive Le Monde, non esita a designare di più in più apertamente il suo mandante: l’Occidente, accusato di voler destabilizzare la Russia.
Il 5 marzo nei locali della più grande agenzia stampa russa gli animatori del movimento Anti-Maidan, vicino al Cremlino, hanno dichiarato “Lo scenario è praticamente identico ovunque. Si uccide una figura dell’opposizione per giocare sull’emozione e scatenare disordini nelle strade, come in Siria, in Iraq, in Libia, in Ucraina”. Il giorno prima, Vladimir Putin aveva esortato “Dobbiamo prestare la più grande attenzione ai crimini di grande risonanza, compresi quelli a sfondo politico.” Precisando anche lui “A cosa può tutto questo portare? Lo sappiamo bene guardando all’esempio del nostro vicino ucraino”.
Ciascuno degli almeno dieci assassini di oppositori politici negli ultimi anni, è stato puntualmente addebitato da Organi dell’informazione Russa a disegni destabilizzanti posti in essere dall’America e dall’Europa.
Come l’attacco alle Torri Gemelle aveva trovato terreno fertile per accusare dell’11 Settembre le “lobbies giudaico massoniche” americane e europee, così la scia di sangue che si allunga dall’Ucraina alla Russia viene ricondotta a pulsioni neoimperialiste occidentali, proprio quando le annessioni territoriali, le violazioni della sovranità, l’uso unilaterale della forza si stanno sistematicamente verificando a Est, e non a Ovest dei confini UE e Nato.
Disinformazioni analoghe hanno serpeggiato nelle scuole francesi dopo la strage a Charlie Hebdo e all’Hyper Cacher. Era avvenuto anche dopo gli attentati antisemiti a Tolosa, Bruxelles, e contro ebrei o cristiani in altre parti del mondo.
Stiamo così vivendo, tra le altre, una pericolosa emergenza: quella di una sistematica deformazione della verità che si associa a gravi limitazioni della libertà di informazione e di espressione, a censure e condizionamenti crescenti.
Sono anche queste dinamiche, ed è proprio la violazione di questi fondamentali diritti umani, a rappresentare un rischio per la sicurezza e la pace in Europa, e nel mondo ad essa circostante.
Per vasti strati della società russa e del mondo islamico stragi, assassini politici, sparizioni, sia che avvengano negli Usa, sia che tocchino l’Europa, l’Asia, l’Africa, il Medio Oriente, o la Russia stessa, sono sempre e comunque responsabilità criminose dell’Occidente. Gli slogan antiamericani dei Comandanti iraniani impegnati nei giorni scorsi a Tikrit, con l’appoggio determinante dell’aviazione Usa, dimostra l’ampiezza e i paradossi di questa strategia di denigrazione dell’Occidente, persino nel momento in cui tutte le forze disponibili dovrebbero combattere unite, anche sul piano della comunicazione, il mostro dell’Isis.
Se disinformazione e complottismo antioccidentale hanno toccato un tale diapason, e se questo “rumore” proviene non soltanto da chi ha naturale interesse a diffonderlo, ma trova ampia risonanza nell’informazione nei nostri Paesi, significa che manca la volontà politica e l’interesse di contrastare la narrativa di chi vuole assolutamente fare dell’Occidente un nemico, anziché un partner per la sicurezza europea e globale .
È come se nell'”offensiva comunicativa” ci trovassimo demuniti, impossibilitati nel fornire alle nostre opinioni pubbliche una comune interpretazione di fatti così gravi come quelli accaduti lo scorso anno con lo smembramento di uno Stato Europeo, l’Ucraina, la cui sovranità e le cui frontiere erano state ripetutamente garantite dalla stessa Federazione russa.
Tra le garanzie, particolarmente importanti erano state quelle sulla sovranità, indipendenza e integrità territoriale fornite da Russia, UK e Usa con il Memorandum di Budapest del 1994, a contropartita della cessione definitiva dell’imponente arsenale nucleare ucraino. Quale Paese al mondo rinuncerà mai più all’arma nucleare in cambio di garanzie alla propria sicurezza? Anche questa conseguenza, devastante per il regime di non proliferazione nucleare, nasce dalla violazione dell’integrità dell’Ucraina.
Per altro verso, l’uccisione di Boris Nemtsov, le perduranti violazioni della fragilissima tregua di Minsk 2, le intercettazione di velivoli occidentali da parte di aerei da combattimento russi, la tragedia del volo MH17, stanno facendo crescere, e di molto, anche i toni della stampa Occidentale. Se gli attacchi filorussi riprendessero, dopo Debaltsevo anche verso Mariupol la crisi si trasformerebbe ulteriormente in un conflitto molto esteso.
Per segnalare solo alcuni commenti critici contro Mosca, valgano:
* quelli di Gideon Rachman sul Financial Times, “La strategia di sopravvivenza di Putin è bugie e violenza”;
* i richiami dell’Economist alle minacce di Dmitry Kiselev che “le forze nucleari russe possono trasformare l’America in cenere nucleare”; che le esercitazioni russe contemplano ormai regolarmente attacchi nucleari contro l’Europa, ad esempio Stoccolma e Varsavia; che spinto dall’assurdo timore di una replica russa di piazza Maidan, il Cremlino ha “reimportato” la violenza già spiegata in Ucraina, etichettando i liberali all’Occidentale come “Quinte Colonne” alle quali apparteneva anche Nemtsov;
* le analisi su Repubblica di Eugenio Scalfari e Lucio Caracciolo, sulla deriva russa verso la “democratura”: un sistema ibrido tra democrazia e dittatura nel quale “il Governo serve solo a trasmettere gli ordini del dittatore e farli eseguire dalla burocrazia. Alcuni Ministri invece, insieme a Putin, al capo dei Servizi di Sicurezza e qualche grande manager economico costituiscono l’oligarchia, il gruppo che guidato da Putin amministra l’Impero”.
Il clima reciprocamente ostile nell’opinione pubblica, tra Russia e Occidente è molto preoccupante. Cause e responsabilità sono ovviamente diverse. Difficile asserire che le critiche della stampa occidentale alla Russia, dopo l’annessione della Crimea, facciano parte di strategie preordinate dai Governi. Mentre è meno fantasioso affermarlo per Mosca. Nel “World Press Freedom Index 2014” la Russia è al 148° posto; tra gli Occidentali, al 33° la Gran Bretagna, al 39° la Francia, e al 49° l’Italia.
Credo che sia preciso interesse del nostro Paese riportare a un clima diverso le relazioni con la Russia. Una moderazione dei toni, delle dichiarazioni pubbliche, della propaganda dovrebbe essere nell’interesse di tutti se vogliamo che l’aleatoria tregua di Minsk 2 si consolidi.
Vi è poi un motivo ulteriore e di ancor maggiore portata: si devono assolutamente creare le condizioni per ricostituire un sistema di sicurezza affidabile sull’intero Continente europeo. All’ultima Sicherheits Konferenz di Monaco l’Ambasciatore Ischinger, organizzatore del convegno – una sorta di Davos sulla sicurezza mondiale – aveva cercato di rilanciare questo dibattito, senza successo perché il clima era sfavorevole.
A quarant’anni dall’Atto Finale di Helsinki, a venticinque dalla Carta di Parigi, ci troviamo in un’Europa dove i confini si cambiano con la forza; dove le istituzioni internazionali sono inermi; dove l’interdipendenza economica ed energetica, ancoraggio per la sicurezza di Francia e Germania dopo la seconda Guerra Mondiale, è diventata fonte primaria di insicurezza tra UE e Russia nel dopo Guerra Fredda.
Distratti come eravamo nel 2008 dalla crisi finanziaria, noi europei abbiamo continuato a contare, e ad invocare, quello “spirito di Pratica di Mare” nel rapporto con Mosca, che stava rapidamente sfumando, mentre noi ci sforzavamo di continuare ad affermarlo. L’intero Partenariato Nato-Russia aveva preso a scricchiolare con la “sospensione” della partecipazione russa al CFE nel luglio 2007, con le incomprensioni sulla Difesa Missilistica, e con la crisi Georgiana dell’Agosto 2008.
Eravamo troppo distratti e abbiamo evitato di guardare la rete che legava tra loro:
* il tramonto del Trattato “Conventional Forces Europe – CFE”;
* la riforma delle Forze Armate russe;
* la nuova Strategia Nazionale di Sicurezza;
* le asperità emerse al Vertice Nato – Russia di Bucarest.
- Iniziative russe di “smontaggio” del CFE – adattato e degli impegni presi nel 1999 a Istanbul si manifestano da inizio 2007. Mosca mira a svuotare completamente il Trattato di ogni effetto pratico e lo “sospende” formalmente, e in via definitiva, con Decreto del Presidente Putin nel luglio dello stesso anno;
- la riforma delle Forze Armate russe, accelerata perché l’intervento militare in Georgia aveva evidenziato gravi carenze dell’apparato militare di Mosca;
- la Strategia Nazionale di Sicurezza, promulgata dal Presidente Medvedev nel Maggio 2009, reca l’impronta di Nikolai Patrushev, allora capo del Consiglio di Sicurezza Russo e già dell’FSB, e di Yuriy Baluyevskiy, già capo di SM FF AA. Entrambi convinti sostenitori di un rilancio della Russia quale “super potenza”. Anche se il concetto strategico evita di qualificare gli Usa come una “minaccia” per la Russia, presumibilmente perché proprio in quel periodo era in atto il tentativo di “reset” russo – americano, l’intero impianto della nuova strategia russa si allontana dagli schemi della “sicurezza cooperativa” e “partenariale” propri ai concetti strategici della Nato negli anni ’90 e 2000. Essa diventa asimmetrica rispetto all’Occidente e promuove un rafforzato ruolo di mutua sicurezza, a guida russa, per il Collective Security Treaty Organization – CSTO. Afferma l’inaccettabilità dell’allargamento della Nato a Paesi confinanti della Russia e a missioni “out of area” della Nato, anche se include un'”apertura alla collaborazione con l’Alleanza Atlantica”. Ma è da notare che la “Dottrina militare” promulgata nel febbraio 2010 rappresenta, secondo alcuni esperti, un certo “indurimento” rispetto al documento di Strategia dell’anno prima: non menziona più il possibile miglioramento del rapporto con gli Usa (il “reset” stava sfumando), e conferma le possibilità di impiego delle Forze Armate nella protezione degli interessi e dei “cittadini” russi all’estero.
- L’atteggiamento di Putin al Vertice Nato di Bucarest di inizio aprile 2008 aveva caratterizzato una sessione difficile. Nonostante alcune conferme nella collaborazione contro il terrorismo, di transito dei materiali Isaf verso l’Afghanistan, nelle emergenze civili, il clima era stato teso. Nessuna dichiarazione congiunta dei leaders, lunga tirata di Putin nella sessione plenaria, polemiche sulla Difesa missilistica erano state appena coperte dal velo delle dichiarazioni conclusive. Sullo sfondo dei malumori russi, l’eventualità – peraltro rapidamente rientrata per le perplessità francesi, tedesche e italiane – che l’Alleanza offrisse il “Membership Action Plan” a Ucraina e Georgia, ritenuto da Mosca, con qualche ipersensibilità, l’anticamera dell’ingresso vero nella Nato.
Tra il 2007 e il 2010 si modificano così, e a me sembra in misura molto sensibile, rapporti di forza, volontà politiche, contesti pattizi. La Russia, nel giro di pochi anni, registra una crescita rapidissima delle sue potenzialità militari; acquisisce nuovi spazi d’azione facendo decadere le limitazioni e le verifiche previste, ad esempio , dal CFE; ridefinisce strategia e dottrina militare in un insieme coerente con gli obiettivi di politica estera.
La controversia sull’Ucraina ha così creato una “tempesta perfetta” alla quale si era meticolosamente preparata per trarne ogni possibile vantaggio.
È interesse della Russia ricostruire un sistema di sicurezza che garantisca tutti i Paesi del continente? Le affermazioni del Governo russo vanno in questo senso. Se alcune fibrillazioni a Mosca sono davvero motivate da “sindrome di accerchiamento”, un sistema affidabile di sicurezza cooperativa dovrebbe essere la soluzione più tranquillizzante per la stessa Russia.
Un sistema affidabile di sicurezza cooperativa deve essere sorretto da quattro pilastri :
* il primo riguarda gli armamenti nucleari;
* il secondo quelli convenzionali;
* il terzo l’energia;
* il quarto la politica di Partenariato dell’Unione Europea e il rapporto di questa con l’Unione Eurasiatica.
- I) Gli equilibri negli armamenti strategici e sub-strategici devono essere assolutamente salvaguardati. In un quadro fosco per la sicurezza europea dopo l’annessione russa della Crimea, il fatto che continuino a esser riconosciuti in principio rispettati gli impegni assunti con il nuovo Start (Strategic Arms Reduction Treaty) -entrato in vigore nel febbraio 2011 da russi e americani per la riduzione degli arsenali nucleari strategici costituisce un elemento tendenzialmente positivo. Ma la crisi Ucraina ha sospeso l’attuazione delle ulteriori misure, che erano state previste, sui seguiti del nuovo Start. E un terzo del bilancio russo per la difesa, in verticale crescita, è destinato all’armamento nucleare. La cooperazione russo-americana sulla messa in sicurezza del materiale nucleare è terminata nello scorso Dicembre.
Ancor meno netto è il giudizio tendenzialmente positivo sulla tenuta del Trattato INF, per gli ammodernamenti e i test che sarebbero in atto da parte russa, in contrasto con le clausole dell’accordo del 1987. Si deve fare ogni sforzo per tenere in vita tale accordo, estremamente importante nell’equilibrio complessivo sub strategico in Europa. Non possiamo immaginare di tornare all’incubo degli anni ’80 con spiegamenti crescenti e contrapposti di armi nucleari a medio raggio, quando vorremmo tutti che esse fossero state eliminate per sempre dal teatro europeo.
- II) In secondo luogo, ed è questo il punto che ritengo davvero essenziale, per la sicurezza in Europa “dopo la Crimea” si deve ricostruire un’architettura giuridica, politica e strategica che escluda l’uso della forza, regoli dettagliatamente entità, caratteristiche, capacità e prontezza operativa delle forze convenzionali spiegate nei diversi Stati Europei. Se il Trattato CFE non potrà più resuscitare, bisogna pensare a qualcosa di diverso, più cogente e condiviso, che assolva al compito essenziale di ristabilire la fiducia, di anticipare l’insorgere di situazioni di crisi (“early warning”), di impedire esercitazioni e concentrazioni di forze senza preavviso o al disopra di limiti consentiti. Le missioni di osservatori dell’Osce, come dimostra la persistente inadempienza di questo impegno di Minsk 2, devono diventare una cosa molto più seria. Devono diventare missioni di osservazione con mandato e capacità idonea a verificare crisi di natura militare.
Se il CFE adattato fosse stato in vigore nell’estate 2008 e agli inizi del 2013 le operazioni miliare russe nel Caucaso prima, e in Ucraina poi, sarebbero state sanzionabili, controllabili, politicamente insostenibili per il Cremlino. Il “congelamento” del CFE nel 2007 dimostra quindi quanta “preveggenza” vi sia stata a Mosca nell’interesse nazionale russo, o visto come tale al Cremlino, a predisporre un terreno politico e giuridico meno ostativo per un futuro uso della forza nelle controversie in Europa.
Con questa storia alle spalle, per creare nella parte russa interesse a un’intesa credibile sulla limitazione delle Forze Convenzionali, l’Alleanza Atlantica deve dare prova di grande unità, di rispettare scrupolosamente gli impegni presi da ultimo al Vertice di Cardiff al rafforzamento delle proprie capacità, e di esprimere posizioni politiche unite e credibili su ciò che è lecito e ciò che assolutamente non lo è nelle relazioni tra Stati Europei.
III) In terzo luogo, la creazione di un’Unione Europea dell’energia deve essere parte integrante ed essenziale di una nuova architettura di sicurezza. Come sta dimostrando la caduta dei prezzi di petrolio e gas , la leva energetica azionata negli ultimi dieci anni dalla Russia per condizionare Paesi ex satelliti e in una certa misura l’UE, può essere azionata anche in senso diametralmente contrario. Una situazione di equilibrio che “depoliticizzi” l’energia e la renda un fattore di stabilità, anziché di tensione, richiede una ben diversa capacità dell’UE ad agire da protagonista, anziché da comparsa tra ventotto entità statuali che trattano ognuna per conto loro delle forniture di gas russo. Non si tratta soltanto di una questione, di per sé stessa già importantissima, di sicurezza di tutti i Paesi europei. Per l’economia italiana, le sue imprese, i suoi consumatori solo un mercato europeo dell’energia veramente integrato consentirà drastiche riduzioni di costi del gas russo, che attualmente, e inspiegabilmente, continuiamo, da anni, a pagare nettamente al disopra della media europea, con forte penalizzazione per la competitività del nostro sistema produttivo. Sarebbe davvero necessario che il Governo italiano, anziché frenare questa riforma di grande portata, sostenesse fortemente la creazione della “Energy Union”, che sarà discussa al prossimo Consiglio Europeo sulla base del documento messo a punto dalla Commmissione. Un documento che integra cinque dimensioni: coordinamento degli approvvigionamenti, interconnessioni, efficienza, riduzione delle emissioni, ricerca e sviluppo.
- IV) Il quarto punto per una nuova architettura di sicurezza cooperativa riguarda i partenariati. La crisi Ucraina è iniziata con la disputa se il paese dovesse aderire all’Unione Europea o all’Unione Euroasiatica. Il paradosso è ora che, dopo la perdita della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina, la soluzione più auspicabile per ripristinare una “working relationship” con la Russia passa attraverso la creazione di un rapporto strutturato tra UE e Unione Euroasiatica (EEA).
Come hanno scritto Ivan Krastev e Mark Leonard per l’European Council on Foreign Relations, la creazione dell’EEA é una potente manifestazione del “soft power” dell’UE; un tentativo di Mosca di ottenere status e riconoscimento mimando istituzioni e struttura dell’UE. L’Unione Euroasiatica propone impegni in termini analoghi a quelli dell’UE, attraverso legami commerciali ed economici, anziché militari. Benché radicata nella geopolitica, l’EEU ha il vantaggio di essere inclusiva, non declinata nel linguaggio di un nazionalismo etnico russo, ed è fondata sul principio di interdipendenza
Forse, concludono i due autori che ho citato, Bruxelles dovrebbe inventare l’Unione Euroasiatica se essa non esistesse già. Il solo progetto che ha la potenzialità di riorientare forse la politica russa in direzione diversa dalla pressione militare e dalla retorica nazionalista.
Un segnale di concreta apertura dell’UE verso l’Unione Euroasiatica è, pertanto, pur con tutti i limiti che molti trovano in quel progetto, probabilmente auspicabile.