>L’innamoramento cieco dei nostri tre ultimi Governi – Letta, e soprattutto Renzi e Gentiloni – per il regime iraniano potrebbe adattarsi a una riscrittura moderna del celebre romanzo di Choderlos de Laclos, che descriveva a fine ‘700 un “grande teatro”: fatto di ipocrisia e dissimulazione; dove i protagonisti sanno come manipolare la gente, organizzare stratagemmi, prevedere situazioni. Renzi – poi Gentiloni- e Rohani hanno venduto la fiaba di un Eldorado iraniano pieno di ricchezza per le nostre aziende. Hanno assopito, attraverso una stampa sempre compiacente su tutto, le indignazioni per le tremila impiccagioni durante questa “presidenza riformista” a Teheran. Sono passati sopra a incitamenti continui alla distruzione di Israele e alla propaganda antisemita e antioccidentale. Sotto un’oscura coltre hanno ben tenuto le connivenze, il sostegno finanziario e logistico di Teheran, anche attraverso gli Hezbollah, a al-Qaeda in Yemen, Iraq, Siria, Afghanistan. Sembra – e le indiscrezioni trapelate sulla stampa estera non risulterebbero smentite- che Roma si sia avventurata in inspiegabili quanto pericolose “collaborazioni di intelligence” con personalità iraniane direttamente coinvolte nel sostegno al terrorismo internazionale e per questo sanzionate dall’Onu. Diversamente da loro colleghi europei, mai una parola ferma è stata spesa da Renzi, Gentiloni e dai loro Ministri per i crimini contro l’umanità perpetrati da forze filoriraniane in Siria in sostegno a Assad: persino quando la Francia cercava di ottenere una condanna – bloccata dal veto russo-del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, di cui l’Italia fa per un anno parte.
Il sipario sull’ultimo atto di questa rappresentazione di dissimulazioni e stratagemmi si sta rapidamente alzando. Chi rischia di farne pesantemente le spese sono le aziende che avevano creduto – o trovato conveniente comunque credere perché “coperte” da crediti e garanzie governative finanziate alla fine dal contribuente italiano -nella miriade di dichiarazioni, conferenze promozionali, incontri a tutti i livelli voluti e promossi dal Governo. Non che non vi siano stati appelli autorevoli e insistenti alla prudenza. Lo scorso settembre veniva pubblicata su questo giornale una “Lettera a Renzi & Co sulla follia di far affari con l’Iran” , oggetto anche di una conferenza stampa alla camera dei deputati da parte dei parlamentari che l’avevano sottoscritta. Diverse interrogazioniparlamentari, come la lettera in questione , sono rimaste avvolte dall’ assoluto silenzio del governo. Tutto questo avveniva quando ancora molti in Italia, a cominciare da Matteo Renzi, davano per sicura la vittoria di Hillary Clinton e confidavano, sbagliando anche su questo punto, che la linea obamiana di accondiscendenza verso l’Iran sarebbe proseguita. Ha dell’incredibile che neppure l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca abbia prodotto alla Farnesina o a Palazzo Chigi migliori letture che non i discorsi accomodanti dell’Alto Rappresentante Mogherini. Vero che il governo italiano sta per battere il “record di incomunicabilità “ tra i principali Paesi dell’Unione con la nuova Casa Bianca. Anche qui, bravo Matteo! Tuttavia qualche riflessione utile agli interessi strategici dell’Italia potrebbe venire dall’ascolto delle dichiarazioni del National Security Adviser Michael Flynn, dopo l’ennesimo test iraniano di missili a capacità nucleare, di domenica domenica scorsa, che viola le Risoluzioni delle Nazioni Unite adottate insieme all’accordo nucleare. Ha detto Flynn: ”Oggi noi avvertiamo formalmente – we are officially putting Iran on notice- che il test missilistico è assolutamente inaccettabile”. Il National Security Adviser di Trump aveva in precedenza bollato l’accordo nucleare sottoscritto da Obama come “debole e inefficace… Invece di mostrare gratitudine agli stati Uniti per questi accordi l’Iran si sente ora incoraggiato”. Ancor più esplicita la nuova Rappresentante Permanente americana all’Onu: “Gli Stati uniti non sono ingenui. Non staremo con le mani in mano. Chiederemo che ce ne rendano conto, come avevamo anticipato, e ci vedrete agire di conseguenza”.
La nostra cieca corsa all’Eldorado che non c’è sta già per diventare un “irritant” nelle relazioni di Roma con Washington. Non ne abbiamo proprio bisogno.Occorre spiegare l’immensa diversità degli interessi strategici, di sicurezza, politici ed economici con l’America, rispetto a quelli che abbiamo con l’Iran di Khamenei e Rouhani? Se tuttavia occorresse, vale la pena sottolineare soprattutto quattro pesanti incognite, che dovrebbero invece essere determinanti per le scelte aziendali, ma che non risulta siano neppur lontanamente evocate nell’agenda dei dibattiti , come ad esempio quelli organizzati alla Fiera di Roma in Novembre e in molte altre iniziative promozionali ideate dal governo Gentiloni:
1.lo scorso giugno la Financial Action Task Force ha annunciato la propria decisione di mantenere l’Iran nella lista nera dei Paesi che preoccupano per transazioni finanziarie illecite e finanziamento del terrorismo internazionale;
2. mentre le istituzioni finanziarie iraniane restano escluse dal sistema finanziario statunitense, il rischio di sanzioni finanziarie e multe per le violazioni da parte di Banche internazionali si aggrava. E’ da ricordare che dal 2009 le Banche internazionali sono state oggetto di oltre 15 miliardi di dollari di multe per violazione delle sanzioni americane contro l’Iran anche per casi riguardanti un inconsapevole coinvolgimento nel riciclaggio di denaro originato dall’Iran;
3. aumenta il rischio di accresciute sanzioni economiche. Il mutato clima a Washington e le valutazioni della AIEA (Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica), su recenti comportamenti iraniani che configurerebbero violazioni dell’Accordo nucleare nella produzione di acqua pesante, possono riflettersi sulle imprese straniere;
4. I Pasdaran-Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC)- sono colpiti dalla normativa americana e internazionale antiterrorismo. Le società estere che operano in Iran rischiano di essere coinvolte in affari con società di comodo appartenenti all’IRGC e di essere poi oggetto di misure sanzionatorie.
In un interessante conferenza organizzata a Berlino la settimana scorsa dalla Camera di Commercio Germania-Iran ho potuto constatare un netto cambiamento di clima sui rapporti d’affari delle aziende tedesche in Iran. Non solo per la situazione generale che riguarda il Paese e le crescenti preoccupazioni che le sue ambizioni regionali aggravino conflittualità, settarismo religioso, e ingigantiscano la minaccia terroristica. Gli imprenditori tedeschi si stanno anche rendendo conto dell’arretratezza e inaffidabilità di quel sistema bancario, del rischio di essere esposti a contatti sanzionabili con le circa duecento “entità designate” iraniane che sono inserite sulla lista –OFAC,SDN’s- del Tesoro americano, del dilagante problema della corruzione e dell’assenza di garanzie e tutele legali per gli operatori stranieri, in un universo anni luce distante da un compiuto Stato di diritto rispettoso dei diritti umani e delle libertà fondamentali.