Diventa inevitabile che l’Italia dia finalmente ascolto alle insistenti richieste provenienti da Washington e da altri Paesi amici in Europa. L’intervento dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e oggi presidente di Cybaze
Articolo per Formiche.net del 28 luglio 2019
L’iniziativa di Formiche.net mette l’accento su un indispensabile e urgente cambio di rotta della politica estera italiana richiesto a gran voce da nostri Paesi alleati in Europa e nella Nato, da parlamentari italiani ed europei, e da think tank autorevoli, ma rimasto purtroppo inascoltato. L’appello, in questo senso, è assai opportuno e dovrebbe essere seguito da altri organi d’informazione che abbiano a cuore gli interessi di sicurezza, il ruolo e la credibilità internazionale del nostro Paese. Nell’immediato, il cambio di rotta – per correggere una traiettoria sbagliata e pericolosa che prosegue da almeno quattro anni – riguarda i rapporti con l’Iran e con la Cina.
Mi atterrò al primo tema, avendo parlato a più riprese su queste stesse pagine della minaccia che le “Vie della Seta” e le tecnologie “doppio uso” militare e civile soprattutto nelle IT rappresentano per l’intera Europa, e per un’Italia che viene considerata da Pechino un’accondiscendente porta spalancata verso l’Europa.
L’OPPORTUNITÀ DA COGLIERE
L’Italia deve cogliere immediatamente l’opportunità di far parte, possibilmente con una posizione di rilievo quanto a unità impiegate e funzioni di comando, di una squadra navale europea che garantisca la libertà di navigazione nell’intera regione del Golfo Persico. L’Italia e l’Europa devono guardare all’insieme dei loro interessi vitali; e al tempo stesso si deve ricostruire la credibilità della presenza navale e della capacità di deterrenza atlantica molto sbiadita dal disimpegno statunitense in Siria e nel Mediterraneo Orientale.
PERCHÉ DOBBIAMO ESSERE A HORMUZ
Lo Stretto di Hormuz è lo snodo più importante del mondo, essendo attraversato dal 30% del petrolio greggio e di altri derivati petroliferi scambiati via mare a livello globale e provenienti da Kuwait, Bahrain, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e Iran, nonostante la contrazione delle esportazioni dovuta alle sanzioni reintrodotte dall’Amministrazione Trump.
È anche la via per cui passano tutte le esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) provenienti dal Qatar, attualmente pari al 30% circa del commercio mondiale di Gnl. L’aspetto più inquietante di questa vicenda, per quanto riguarda l’Italia, consiste nel fatto che proprio il nostro Paese risulta il più esposto alle tensioni nell’area sul fronte LNG, comprando dal Qatar ben il 79% delle importazioni complessive, più del 72% del Belgio e del 40% del Regno Unito. In pratica, noi italiani rischiamo di ritrovarci a corto di gas, qualora lo stretto di Hormuz venisse chiuso al transito delle navi per atti ostili o nel caso in cui gli stessi esportatori evitassero di passarvi per evitare di mettere a repentaglio le vite dei propri equipaggi.
Ristabilire la sicurezza dello Stretto è, evidentemente, un’esigenza maturata con la spirale di crisi innescata dall’Iran, in risposta alla peraltro inevitabile uscita degli Stati Uniti da un accordo nucleare nel quale la finzione superava di gran lunga l’utilità. Da almeno un anno è stato tutto un susseguirsi di tensioni , e di iniziative militari palesi -come l’abbattimento di droni , l’attacco a petroliere e il loro sequestro – o “coperte”, come gli attacchi “cyber” di cui Teheran ha acquisito considerevoli capacità, e le iniziative tramite “proxy” in Yemen, Iraq, Siria, nonché attentati terroristici programmati o eseguiti persino in Europa.
Diventa quindi inevitabile che l’Italia dia finalmente ascolto alle insistenti richieste provenienti da Washington e da altri paesi amici in Europa.
I PASSI DA COMPIERE
Vi sono passi che il governo deve fare anche per tutelare le aziende italiane ed evitare di esporle sconsideratamente alle sanzioni americane. Un primo caso, emblematico, riguarda la linea aerea iraniana.
Mahan Air, che dopo Milano Malpensa raddoppia sull’Italia aprendo anche su Roma Fiumicino, dal 2 luglio 2019 con due voli a settimana. Molto singolare questa decisione delle nostre autorità per l’aviazione civile che, evidentemente, non hanno voluto tenere conto degli stop imposti alla compagnia di Teheran da Francia e Germania nei mesi scorsi e dopo la decisione da parte di Alitalia di sospendere i voli diretti su Teheran, come fatto anche da altre grandi compagnie europee (British Airways).
I RISCHI
La pericolosità per la sicurezza internazionale è stata ribadita il 23 luglio scorso dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (OFAC) con uno “statement” per alzare l’allerta sulla potenziale esposizione dell’industria dell’aviazione civile alle sanzioni economiche per aver intrapreso o sostenuto trasferimenti non autorizzati di aeromobili o beni, tecnologia o servizi correlati all’Iran o alle compagnie aeree iraniane designate.
Il regime iraniano utilizza compagnie aeree commerciali per promuovere l’agenda destabilizzante di gruppi terroristici come il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e la sua Forza Qods (IRGC-QF), e per il dispiegamento di miliziani “proxy” in tutta la regione. L’industria dell’aviazione civile internazionale, compresi i fornitori di servizi come agenti di vendita generali, broker e società di proprietà, devono essere in allerta per assicurarsi che non siano complici delle attività maligne dell’Iran “, ha dichiarato Sigal Mandelker, sottosegretario al Ministero del Tesoro per il terrorismo e Intelligenza finanziaria. “La mancanza di adeguati controlli di conformità potrebbe esporre coloro che operano nel settore dell’aviazione civile a rischi significativi, tra cui azioni civili o penali o sanzioni economiche.”
IL RUOLO DELLE COMPAGNIE AEREE IRANIANE
È ormai risaputo il ruolo svolto da molte compagnie aeree commerciali iraniane nel sostenere gli sforzi del regime iraniano di fomentare la violenza regionale attraverso il terrorismo, fornire armi alle sue milizie “proxy” e al regime di Assad e altre attività destabilizzanti. L’Iran ha fatto regolarmente affidamento su determinate compagnie aeree commerciali iraniane per pilotare combattenti e materiale in luoghi internazionali a supporto delle operazioni terroristiche sponsorizzate dallo stato iraniano. Nel condurre questi voli, queste compagnie aeree commerciali iraniane consentono il sostegno militare dell’Iran al regime di Assad consegnando materiale letale tra cui spedizioni di armi, prolungando il conflitto brutale e la sofferenza di milioni di siriani.
Una su tutte è la Mahan Air che, per il ruolo fondamentale svolto a sostegno dell’IRGC-QF e dei suoi “proxy” regionali trasportando combattenti, armi e fondi stranieri, è stata già sanzionata dagli USA nel 2011. Mahan Air ha anche trasportato il comandante dell’IRGC-QF Qasem Soleimani, sanzionato ai sensi della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e soggetto a un divieto di viaggio delle Nazioni Unite. Dal 2018, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche a 11 entità e individui che hanno fornito supporto o agito per o per conto di Mahan Air, tra cui una banca che fornisce servizi finanziari, società di copertura che acquistano pezzi di ricambio per aeromobili e agenti generali di vendita fornire servizi in Malesia, Tailandia e Armenia. Gli Stati Uniti hanno anche designato Qeshm Fars Air, una compagnia aerea “cargo” controllata da Mahan Air e con un ruolo chiave nelle attività dell’IRGC-QF in Siria. Oltre a trasportare armi e combattenti per l’IRGC-QF, Mahan Air è stata utilizzata dall’IRGC di recente nel marzo 2019 per trasportare corpi di combattenti uccisi combattendo in Siria in diversi aeroporti in Iran.
Gli agenti generali di vendita e altre entità che continuano a fornire servizi alle compagnie aeree iraniane designate dagli Stati Uniti come Mahan Air rimangono a rischio di sanzioni. Le attività potenzialmente sanzionabili, se condotte per, o per conto di, una persona designata, potrebbero includere: servizi finanziari, prenotazioni e biglietteria, prenotazione e gestione del trasporto, approvvigionamento di parti e attrezzature dell’aeromobile, manutenzione, servizi di terra, accordi di trasferimento interlinea e code-sharing.
LA LOTTA AL TERRORISMO
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, Roma dovrebbe seriamente considerare il “blacklisting” di Irgc.
Per anni gli Stati Uniti hanno indicato “Hezbollah”, “Kataib Hezbollah” e le “Brigate al-Ashtar” come formazioni terroristiche, ma non la loro principale fonte di uomini e di sostentamento materiale e finanziario, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, almeno fino all’aprile scorso.
L’Iran è il principale sponsor mondiale del terrorismo e l’Irgc è il principale veicolo attraverso il quale il regime finanzia organizzazioni terroristiche e proxy in tutta l’area mediorientale. L’Irgc è anche il custode del programma di missili balistici illeciti del regime.
Inoltre, i Pasdaran detengono il controllo di vaste aree dell’economia iraniana. Proprio in quest’ottica la designazione dell’Irgc dovrebbe servire come campanello d’allarme per quelle aziende che intendono investire in Iran e negare a Teheran ogni fonte di sostegno finanziario per realizzare le proprie ambizioni egemoniche.
Per 35 anni, l’Iran è stato indicato come uno stato sponsor del terrore e il ruolo dell’Irgc è stato determinante nell’abituale uso del terrorismo da parte del regime contro gli Stati Uniti e i loro alleati in tutto il mondo. Oltre a condurre attacchi diretti, Teheran ha usufruito dell’ausilio di Hezbollah, Hamas, gli Houthi e le milizie in Iraq, Siria e Bahrein per dare corso alla lunga storia di attacchi terroristici contro l’Occidente.
Qualsiasi società intenzionata ad investire nel mercato iraniano deve avere chiara l’eventualità di ritrovarsi ad avere come partner commerciale una delle innumerevoli società di copertura dell’Irgc: una circostanza tutt’altro che remota considerata l’impossibilità a conoscerne l’effettiva “ragione sociale”.
In tale contesto si inserisce la campagna di UANI per identificare società ed entità possedute, gestite o controllate dall’Irgc. Dalla fine della guerra Iran-Iraq, le Guardie Rivoluzionarie hanno assunto un ruolo dominante nell’economia iraniana controllando gran parte dei settori petrolchimico, bancario, delle costruzioni e delle telecomunicazioni in Iran. A titolo di esempio, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha indicato la stretta connessione tra la “National Iranian Oil Company” e le Guardie Rivoluzionarie. Michael Pompeo nel 2017, all’epoca Direttore della CIA, ha stimato che l’Irgc controlla circa il 20% dell’economia dell’Iran.
Un seconda entità terroristica che l’Italia, come altri partners atlantici dovrebbe listare nella sua interezza, è Hezbollah.
Quando nel febbraio scorso il Regno Unito ha deciso di riconoscere Hezbollah, nel suo insieme, come organizzazione terroristica, il Ministro dell’Interno britannico, Sajid Javid, ha osservato: “è da molto tempo che si chiede di bandire l’intero gruppo. La distinzione in due realtà rappresenta soltanto uno specchietto per le allodole.”
L’ala militare di Hezbollah e quella politica, sono due facce della stessa medaglia del “terrore”. Per anni, gran parte del mondo ha mantenuto una dicotomia artificiale che, paradossalmente, viene smentita dagli stessi vertici, i quali ne rivendicano invece l’unicità: il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, nel 2012 ha affermato “non abbiamo un’ala militare e una politica”.
Una decisione, quella britannica che dovrebbe essere universalmente condivisa, considerando i numerosi fatti di sangue perpetrati da Hezbollah in tutto il mondo, e invece pochi Paesi hanno colto la vera natura di questa organizzazione: il Regno Unito è soltanto la seconda nazione in Europa dopo i Paesi Bassi.
È TEMPO DI AGIRE
È tempo che anche l’Italia agisca in tal senso, ma ciò continua a rimanere al di fuori delle intenzioni di Roma, sulla scia della riluttanza delle stesse Onu e Ue, come dimostrato nel 2013 quando Bruxelles decise di riconoscere la sola ala militare come organizzazione terroristica. L’Italia in quel frangente si mostrò inspiegabilmente “prudente”.
Ad ulteriore conferma di una visione pericolosamente distorta sull’argomento, alcuni membri del Movimento Cinque Stelle hanno recentemente affermato che Hezbollah è “parte del popolo libanese, e quindi i suoi appartenenti non possono essere etichettati come terroristi”. Ciò che invece si nasconde dietro al “Partito di Dio” è l’espressione di quel progetto egemonico messo in atto da Teheran per espandere la propria influenza su tutto il Medio Oriente, e non un fenomeno meramente locale. La conferma viene per voce dello stesso segretario generale Hassan Nasrallah, il quale ha sostanzialmente ammesso che “Hezbollah, le sue entrate, le sue spese, tutto ciò che mangia e beve, le sue armi e i suoi razzi provengono dall’Iran”.
Date queste premesse, il recente incontro a Roma tra il viceministro degli esteri iraniano Gholamreza Ansari e il sottosegretario agli Affari Esteri italiano Manlio Di Stefano (M5S), rappresenta un passo decisamente sconsiderato. L’incontro è apparso come una ulteriore legittimazione della strategia del terrore di Hezbollah in Medio Oriente e in Europa, specialmente dopo che sono emerse indiscutibili prove circa gli attacchi terroristici e le uccisioni pianificate negli ultimi anni da agenti iraniani appartenenti a varie organizzazioni di sicurezza e proxy. Di Stefano, in più, ha sottolineato che l’incontro è stata “un’opportunità per evitare un esagerato adeguamento (overcompliance) alle sanzioni statunitensi da parte delle imprese private”, ignorando completamente le preoccupazioni del FATF/GAFI riguardo il finanziamento al terrorismo da parte iraniana.
Il Regno Unito ha messo in moto un processo potenzialmente rivoluzionario rispetto all’attuale acquiescenza europea nei confronti di Hezbollah, fino al suo bando definitivo. È tempo che l’Italia segua l’esempio, come in questi giorni si appresta a fare l’Argentina designando Hezbollah come un’organizzazione terroristica per il ruolo riconosciuto del gruppo negli attacchi dinamitardi nel 1992 dell’Ambasciata israeliana a Buenos Aires e nel 1994 nel centro comunitario ebraico AMIA, sempre nella capitale e di cui ricorreva pochi giorni fa il 25° anniversario.