LIBIA: IL CAOS ALLE PORTE DI CASA…GRAZIE ALLE INCERTEZZE OCCIDENTALI? Pochi ricordano come iniziò tutto: sono passati più di cinque anni da quando il 15 febbraio 2011 un gruppo di avvocati scese in strada a Tripoli per una dimostrazione pacifica contro l’arresto di un loro collega Avvocato; nei giorni successivi, migliaia di libici si unirono alle manifestazioni; due giorni dopo, il 17 febbraio, le forze di Gheddafi uccisero dodici manifestanti; le proteste si propagarono immediatamente, e il 18 febbraio a Bengasi scoppio infine la rivolta armata. Il terreno della rivoluzione anti Gheddafi era però maturo da tempo, prova ne sia che sin dai primissimi giorni diversi gruppi armati con capacità militare riuscirono a impadronirsi di centri strategici in Cirenaica e a lanciare attacchi verso Ovest. Il Consiglio di Sicurezza il 22 febbraio condannò l’uso della forza contro i civili, chiese l’immediata cessazione delle violenze, ed esortò il Governo a rispondere alle legittime esigenze della popolazione, e a consentire il passaggio degli aiuti umanitari. Per una volta almeno nella storia delle colpevoli distrazioni e dei ritardi nel rispondere a massacri e genocidi, la pressione internazionale inizialmente sembrava aumentare *velocemente*. Sempre quel 22 febbraio, appena cinque giorni dopo le prime vittime, la Lega Araba condannò la Libia e la *sospende dall’organizzazione*. Il Presidente Obama reiterò la condanna delle violenze e chiese al National Security Council opzioni per una risposta. Come ricorda Robert Gates nelle sue memorie, le diverse opzioni riguardavano l’imposizione di una No-Fly Zone e altre forme di dissuasione militare. Ma il “security team” della casa Bianca si divise: chi era contro argomentò che la Libia non rappresentava un vitale interesse nazionale per gli USA, e che un terzo attacco occidentale in un decennio contro un paese musulmano – per quanto totalitarista possa essere il suo regime – sarebbe stato gravido di contraccolpi pericolosi; sul lato avverso, si fecero sentire i sostenitori della “responsabilità di proteggere”, e le voci preoccupate per l’instabilità di un paese assolutamente strategico nel Mediterraneo. La decisione della Casa Bianca fu assai tormentata, come raccontano tutti i principali protagonisti, e lo stesso Obama nella intervista di pochi mesi fa a The Atlantic. Come tutti sapete, si decise poi per l’intervento armato internazionale, e il 20 ottobre 2011 Mu’ammar Gheddafi venne ucciso (epilogo che a mio avviso sarebbe stato comunque doveroso evitare). LO DICO: ho sempre trovato lo slogan “abbiamo sbagliato a favorire la caduta di Gheddafi” assai pragmatico ma anche *molto offensivo nei confronti della popolazione libica*, oppressa da quarantanni da quella soffocante dittatura, oltre che essere una frase riprovevole se pensiamo alla sofferenza inflitte dal dittatore libico a centinaia di migliaia di nostri connazionali all’epoca cacciati dal paese. Post conflitto, come Ministro degli Esteri allora in carica, rappresentai in seno al Governo la voce più allarmata sull’urgenza di ricostituire le strutture di sicurezza libiche, perché tutti gli osservatori di cui disponevamo, insieme a un’ottima intelligence in quell’area, rilevavano il rischio in pochissimi mesi di *creazione di un’influenza islamista paralizzante per la transizione*: purtroppo non fui ascoltato, e così fu, la radicalizzazione estremista delle bande islamiche armate pervase anche il territorio libico. Successivamente, i segnali dati dai paesi occidentali furono troppo indeterminati, spesso contradditori e rivelatori di un latente tentativo di disimpegno e di volontà di “parlare d’altro”. Invece, le emergenze dell’ISIS e delle migrazioni – che come Italia ci toccano da vicino – impongono di riprendere con serietà il tema di un “Security Compact” libico che definisca risorse, contributi logistici, militari e operativi per la stabilizzazione dei nostri amici e vicini. Il Security Compact deve corrispondere evidentemente al Libyan Political Agreement recepito dall’Onu. In cosa consistono i principali impegni che dovremmo assumerci…? In sintesi dovremmo favorire:
1) la protezione dell’integrità territoriale e nazionale del Paese;
2) il monopolio dello Stato (libico) nell’uso legittimo della forza;
3) il rigetto della violenza e della minaccia a fini politici;
4) la lotta contro il terrorismo in ogni sua forma;
5) l’impegno per la smobilitazione e l’integrazione delle formazioni armate miliziane nelle istituzioni civili e militari dello Stato libico.
L’Italia a mio avviso dispone delle risorse e delle leggi che le consentirebbero di essere parte di questo impegno internazionale, e *ne ha preciso interesse*, stante la contiguità territoriale con la Libia. NE DISCUTEREMO nella Sala Multimediale del Rettorato dell’Università di Roma “Sapienza”questo mercoledì 25 maggio 2016 alle h 14.30, con un saluto del Magnifico Rettore Prof. Eugenio Gaudio, il contribuito di autorevolissimi relatori, e la moderazione di Irene Piccolo della GeoCrime Education Association: NON MANCATE, e qui sulla pagina…DITE LA VOSTRA!
Pubblicato sulla mia pagina facebook, qui il post originale.