“Contesto geopolitico, mutazioni delle minacce, strumenti e obiettivi”
Konrad Adenauer Foundation, Rome
September 25th, 2017
I.Il quadro europeo: partire dall’Eurozona.
La cooperazione in materia di difesa è tema ricorrente del dibattito europeo, con alternanza di entusiasmi e delusioni, in un contesto segnato nell’ultimo quinquennio da un certo progresso. Chi ritiene che una politica Europea di Difesa e di Sicurezza degna di tale nome debba basarsi su una visione condivisa degli interessi da difendere , delle sfide e delle minacce da affrontare, e debba disporre di strumenti operativi, strutture, risorse adeguate e credibili rispetto a quelle degli altri principali protagonisti sulla scena mondiale, resta solo parzialmente confortato dalle decisioni adottate dal Consiglio Europeo dello scorso Giugno.
Negli scorsi mesi, il quadro di riferimento si è meglio definito con la elezioni in Olanda, Francia, Austria, e con le prospettive favorevoli alla riconferma del Cancelliere Merkel alle elezioni tedesche del 24 Settembre. Le quotazioni dell’Unione presso l’opinione pubblica e le principali forze politiche europee sembrano aver ridato energia al processo di integrazione nelle sue diverse componenti. In primo luogo, quella economico-finanziaria, con le proposte del Presidente Macron sull’Eurozona ,riprese con diversi aggiustamenti da Berlino soprattutto per quanto riguarda ESM, bilancio, autorità di controllo. In secondo luogo qualche luce in fondo al tunnel delle questioni migratorie e d’asilo si è vista con la concertazione il 28 Agosto nell’incontro dei quattro Leader UE a Parigi – Macron, Gentiloni, Merkel e Rajoy- tra loro e anche con alcuni partner africani.
Le crescenti preoccupazioni per il terrorismo jihadista, le nuove dimensioni della minaccia cyber, l’estendersi di “conflitti congelati” e di “aree di destabilizzazione” in Europa e in Medio Oriente, costituiscono potenti stimoli esterni a più decisiva coesione tra i Paesi dell’Unione sulle questioni della difesa e della Sicurezza.
In generale, gli argomenti in favore di una corsia preferenziale da riservare al processo di integrazione nel campo della Difesa non sono certo nuovi. Essi sono essenzialmente tre:
- “insieme siamo più forti, e autonomi nell’affermare gli interessi dell’Europa”; 2.l’integrazione della Difesa rappresenta un passo necessario, dopo quello economico e monetario, verso l’obiettivo dell’Unione Politica;
3.una Difesa comune assicura la razionalizzazione della spesa , elimina le duplicazioni, favorisce economie di scala e sviluppo industriale all’obiettivo dell’unione politica.
Se è prematuro contare sul nucleo dei quattro principali Paesi dell’ Eurozona anche per altre priorità che- come quelle della Difesa e della Sicurezza- appaiono le più urgenti , la concertazione di Parigi sulle politiche migratorie non deve neppure essere sottovalutata. Infatti, nell’importante discorso programmatico pronunciato da Macron l’indomani del “Vertice a Quattro” sull’immigrazione alla Conferenza annuale degli Ambasciatori di Francia, il Presidente ha anticipato che avrebbe proposto entro poche settimane ai partner europei di lavorare su una decina di punti per riformare la zona Euro. Insisterò- ha detto- ” per un’Unione rifondata e a diversi formati, spronata dai paesi che vogliano andare più lontano nella convergenza delle loro economie e delle loro politiche”.
In prima evidenza, nella visione francese, si trovano le riforme strutturali e tutto ciò che deve ulteriormente integrare l’economia dell’eurozona e la sua governance politica. Ma nella “decina di punti” segnalati dal Presidente francese non può mancare la Difesa. L’insistenza su un'”Unione a diversi formati” , sulla sicurezza dei francesi come fondamentale ragion d’essere della diplomazia di Parigi, sulla lotta al terrorismo, fanno ritenere che nell’impostazione francese- siano attualmente ben presenti le condizioni per concentrare proprio sui Paesi dell’Eurozona gli sforzi per rilanciare la Difesa Europea.
Qualsiasi forma di integrazione avanzata nella Difesa ha oggi ogni buoni motivi di prendere le mosse territorialmente e politicamente dall’Eurozona, e funzionalmente dalla “Cybersecurity”. I buoni motivi sono gli interessi nazionali di tutti i Paesi di quest’area a prevenire minacce di diversa natura: ibride, di disinformazione, di sottrazione massiccia di dati informatici ; o militari ,con vere e proprie azioni di guerra cibernetica o di uso unilaterale della forza . Le minacce del terrorismo islamico e della forza militare provengono essenzialmente da Est e da Sud. Quelle cibernetiche e , ancora, di alcune organizzazioni jihadiste, hanno natura globale. Si avverte quindi l’esigenza di un sistema integrato di Difesa per l’intera regione che va dal Mediterraneo al Baltico.
La stessa dimensione economica e finanziaria dell’Eurozona ,il suo elevato sviluppo tecnologico, le esperienze maturate dai Paesi Euro nella “quinta dimensione” della sicurezza- quella “Cyber”- sono già da tempo oggetto di iniziative di prevenzione e tutela che si stanno rafforzando con il Manuale di Tallin – importante esempio di collaborazione avviato dai partners Europei e atlantici del Paese Baltico dopo l’attacco cyber subito dall’Estonia nel 2007 – e con la creazione di un Centro di Eccellenza europeo a Helsinki per la lotta contro le minacce ibride. Il Centro è operativo da questo Settembre , è sostenuto da 12 Paesi, 11 Ue, Regno Unito incluso, e dagli Stati Uniti.
Significativo, al riguardo, che il Governo Finlandese – benchè neutrale- abbia sottolineato l’importanza di questa cooperazione rafforzata non soltanto tra Paesi UE, ma anche tra UE e NATO per contrastare “minacce ibride” che mirano a destabilizzare dall’interno le democrazie occidentali e rendono meno netta la distinzione tra attività di guerra, uso della forza, e condizionamenti dell’opinione pubblica basati sulla disinformazione. La NATO dispone , dal canto suo, di un Centro di Eccellenza per la Comunicazione Strategica a Riga.
Si tratta peraltro ancora di strutture del tutto embrionali e nettamente sotto dimensionate rispetto ai vasti apparati di cui dispongono Paesi che vedono nell’Europa e nell’Alleanza Atlantica un antagonista, e persino un nemico, da destabilizzare e condizionare non soltanto nelle sue capacità militari, ma anche e soprattutto sul piano Istituzionale e politico.
Vi è quindi un’impellente esigenza di ampliare e approfondire in ogni possibile modo delle “cooperazioni strutturate e permanenti di Cybersecurity” tra i paesi dell’Eurozona, per porre quindi questa funzione esattamente al centro della sicurezza europea a Ventotto, non potendone essere esclusa la Gran Bretagna. Si tratta di una questione talmente vitale che se anche essa potesse essere considerata distintamente da tutte le altre quattro “dimensioni” della Difesa- cosa evidentemente impossibile data la rilevanza dell’IT per l’Aviazione, la Marina, l’Esercito, e lo Spazio – occorrerebbe comunque riconoscere la grande urgenza di una comune “Difesa cyber” con strategia , struttura, comando integrati, e risorse idonee .
II.La mutazione delle sfide geopolitiche e di sicurezza.
A più di un anno dal referendum sulla Brexit si delineano nuove opportunità per dare impulso alla Difesa europea, e al tempo stesso sfide accresciute che ne dimostrano l’assoluta urgenza:
– A. Se Londra è stata sinora il principale freno, dopo il referendum e l’avvio del negoziato Brexit il terreno appare ora più libero. Tuttavia dobbiamo tener ben presente che la Gran Bretagna resta un partner continentale di fondamentale importanza nella Nato, ed è uno dei due soli membri permanenti , e “nucleari” dell’Europa atlantica in CdS. Una Difesa europea deve essere pertanto “costruita” in stretta sintonia, politica , strutturale, e organizzativa anche con Londra.
-B) l’Amministrazione Trump ha voluto ridimensionare almeno in parte le iniziali preoccupazioni europee su Nato e Russia. Un’America peraltro ” meno scontata” nella sua incondizionata garanzia di sicurezza convenzionale e nucleare verso tutti gli Stati europei fornisce un incentivo potente alla creazione di una vera e affidabile Difesa Europea,
-C) la natura delle minacce – come ha sottolineato il Vertice Atlantico di Varsavia lo scorso anno- si è sempre più trasformata assumendo connotazioni ibride ,nelle quali le attività di intelligence si uniscono a quelle di disinformazione, di sedizione e di pesante interferenza politica con mezzi criminali e illeciti, attraverso strategie aggressive che si avvalgono dell’uso della forza militare e di armi cibernetiche.
-D) le capacità nucleari stanno evolvendo drammaticamente, sia nei programmi di ammodernamento delle potenze nucleari ufficialmente riconosciute, sia con l’acquisizione di arsenali nucleari e sistemi di “delivery” da parte di Paesi che negli ultimi due decenni erano comunque stati sotto stretta osservazione della comunità internazionale.
-E) Programmi di ammodernamento molto significativi sono in atto in Russia – che ha sviluppato, testato e spiegato nel teatro europeo missili da crociera a medio raggio vietati dal Trattato INF- in America – con il programma lanciato dal Presidente Obama per assicurare la ratifica senatoriale del Nuovo Start- in Gran Bretagna- con il finanziamento di nuovi sommergibili nucleari- e in Francia.
-F) Tra i Paesi vicini alla soglia nucleare e tra quelli che l’hanno ampiamente superata, le maggiori minacce alla sicurezza europea e atlantica provengono ovviamente dalla Corea del Nord e dall’Iran.
-G) Pyongyang ha dimostrato da un paio d’anni a questa parte di disporre di un arsenale nucleare significativo e di capacità di “delivery” radicalmente migliorate .
-H) Teheran continua apparentemente ad attuare il JCPOA, per quanto concerne l’arricchimento dell’uranio. L’Iran sta tuttavia violando le risoluzioni del CdS delle Nazioni Unite nel settore missilistico. Lo ha accertato lo scorso giugno il gruppo esperti del CdS presieduto dal Rappresentante Permanente italiano. Destano accresciuta preoccupazione i successi nordcoreani nell’acquisire capacità nucleari e missilistiche da parte di un regime che vanta proprio con l’Iran una collaborazione trentennale in entrambi i settori, missilistico e nucleare .
-I) Cybersecurity. Non vi è dominio della Difesa e della Sicurezza , dentro o fuori dai confini nazionali che abbia natura multiforme , multidimensionale e ibrida quanto la “Quinta Dimensione” della sicurezza globale: la dimensione Cyber, in sovrapposizione a quella terrestre aerea, navale , e spaziale. Nella “Quinta Dimensione”, strumenti e obiettivi si confondono; origini delle minacce restano spesso non documentabili ; finalità militari, economiche, politiche si combinano in forma irreversibile. Ma ciò che appare ancor più significativo e rivoluzionario è che le “cyber weapons” sono al tempo stesso armi convenzionali e armi di distruzione di massa. La “soglia ” tra la prima e la seconda categoria dipende unicamente dal grado delle distruzioni causate, delle perdite di vite e di risorse economiche. Nonostante gli sforzi effettuati nel quadro Onu, Nato e Ue, non esiste ancora una sufficiente base politica, legale e concettuale per sviluppare, come invece avvenuto da decenni per tutte le altre Armi di Distruzione di Massa (ADM) una convincente strategia atlantica ed europea di deterrenza e di risposta alle minacce e agli attacchi, peraltro già verificatisi nel corso dell’ultimo decennio contro Paesi Europei e Atlantici.
-L) La gestione delle crisi dopo la fine della Guerra Fredda è avvenuta ad opera di Organizzazioni Internazionali globali e regionali- Onu, Nato, Ue, Union Africana , Lega Araba, e altre – di ” Coalitions of the willing ” sotto mandato Onu o comunque in attuazione di principi sanciti dal suo Statuto, con risultati alterni. In genere, le missioni organizzate nel quadro UE -PESC/PESD- si sono caratterizzate per un’enfasi sugli obiettivi politici, dell’ Institution Building, dell’osservazione e della mediazione, più che su attività militari, alle quali praticamente tutti i Paesi EU hanno spesso partecipato nel quadro del “Peace keeping e/o del “Peace enforcing” delle Nazioni unite , della Nato e di altre organizzazioni e iniziative.
III.Opzioni , strumenti , obiettivi .
Si tratta ora – per l’Unione- di:
- a) maturare la volontà politica e la coesione necessaria per avvalersi di strumenti definiti da tempo, che abbiano un’effettiva capacità di prevenire e rispondere alle sfide che si addensano sulla nostra sicurezza;
- b) valutare se strumenti nuovi – sempre più rilevanti negli apparati e strategie di difesa di alcuni Stati nazionali, come le potenze nucleari ma non solo di quelle- debbano entrare sin dall’inizio nelle “cooperazioni strutturate e permanenti” dell’Unione, o ancor meglio meritino di essere al centro di uno sforzo sostenuto a Ventisette e in collaborazione con il Regno Unito. Mi riferisco ancora alla Cyber-security e alla Cyber-defense.
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- a) Sul primo aspetto, quello degli strumenti definiti da tempo, si deve ricordare che la UE ha un potenziale militare non del tutto esplorato, che può fare dell’Unione un produttore di sicurezza efficace e moderno. Si tratta delle Cooperazioni Permanenti e Strutturate -PESCO- dei Military Planning and Conduct Capability- MPCC- del Fondo Europeo della Difesa. Per attuarle entrano in gioco tre linee di azione e tre protagonisti: il Servizio Europeo per l’Azione Esterna, gli Stati Membri, la Commissione. L’MPCC è un passo modesto ma di rilievo simbolico e in prospettiva politico. Si tratta di un ventaglio in cui non sono solo gli Stati Membri i protagonisti, come nella classica discussione sulla Difesa Europea, ma anche la Commissione. Questo aggiunge, al di là delle distinzioni codificate nei Trattati, una visione “comunitaria” . L’avvio della Brexit ha, tra l’altro, coinciso con il lancio della Strategia Globale dell’Unione Europea da parte dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini .
L’Unione si è dotata , inoltre, di un non trascurabile piano di incentivi attraverso il Fondo Europeo della Difesa. Qui vediamo all’opera un’altra significativa potenzialità dell’Unione Europea. La Commissione ha varato il 7 giugno scorso questo nuovostrumento, che intende cominciare a mobilitare risorse comuni per sostenere gli investimenti degli Stati Membri in materia di capacità difensive, con una priorità di principio per i programmi cooperativi. La Commissione può far leva sul proprio potere regolatorio per superare la frammentazione, le duplicazioni, e le incoerenze nell’insieme dell’industria europea per la Difesa.
Un impegno credibile dei Paesi europei in direzione di una Difesa Europea presuppone una convergente linea propositiva, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di programmi elettorali che rispondano alle preoccupazioni diffuse tra gli europei per le minacce provenienti dal terrorismo , dalle tensioni globali e regionali che pregiudicano la loro sicurezza. Ma quanto viene e può essere speso, per colmare almeno- nell’immediato- il considerevolissimo disavanzo tra impegni assunti anche in ambito Atlantico da almeno un quinquennio?
Bisogna sgomberare anzitutto il terreno dalla perniciosa illusione che una Difesa Europea possa tradursi in un saldo netto di risparmi , anzichè di pesanti oneri aggiuntivi per i bilanci nazionali. Il grado di “readiness” di quelle che erano da sempre , negli ultimi vent’anni, considerate le Forze armate più affidabili dei principali Pesi europei hanno mostrato inadeguatezze impressionanti quando si è constatato come non ci fossero uomini, finanziamenti e mezzi sufficienti a sostenere nel tempo le operazioni antiterrorismo in Sahel, Niger, Chad, NordAfrica, in Medio oriente, o a partecipare ai pattugliamenti nel Mediterraneo e nel Golfo, o a contribuire adeguatamente ai diversi teatri di peacekeeping in Africa, o e lanciare missioni PESC/PESD in cruciali zone di crisi.
Per fare l’esempio dell’Italia, il nostro bilancio Difesa equivale a circa 1,2 del PIL, pur comprendendovi forze come l’Arma dei Carabinieri che in prevalenza svolgono compiti di ordine pubblico e non di Difesa. Quindi , da un quinquennio siamo al disotto di circa un punto per cento, pari a circa 20 miliardi €, rispetto al contributo che siamo collettivamente impegnati a fornire alla Difesa dell’Europa , attraverso l’Alleanza Atlantica. Stando agli impegni ,in cinque anni avremmo dovuto destinare alla Difesa circa 100 mld€ in più. Ma è probabile che anche il 2% del PIL non sarebbe più sufficiente se gli Stati Uniti riducessero- come hanno detto di voler fare- il loro contributo alla NATO, e quindi alla Difesa dell’Europa. Attualmente il 75% del bilancio Nato grava sugli Stati Uniti.
Il problema dei Bilanci per la Difesa deve comunque essere affrontato. Se ,ad esempio, sembra ormai quasi scontato che le “spese per investimento” devono essere scorporate dal deficit massimo annualmente consentito ai Paesi UE, sarebbe del tutto incomprensibile che “investimenti” destinati alla Difesa e alla sicurezza nazionale- quindi, a funzioni che riguardano la vita e la libertà dei cittadini, certamente ancor più rilevanti di quelli pur fondamentali della crescita e dell’occupazione- non fossero scorporati dalle spese considerate nel tetto del deficit.
Si tratta di un punto estremamente importante per l’Italia che si trova tra i fanalini di coda quanto a livello delle sue contribuzioni. Se vogliamo avere voce in capitolo al tavolo che decide dei programmi militari ,dei progetti industriali, e nell’Agenzia degli Armamenti , questo non avverrà a costo zero. E’ evidente a tutti che si tratta di questioni politicamente difficili da gestire, soprattutto se affrontate senza una visione d’insieme dell’interesse nazionale e della consapevolezza che i i governi intendono fornire ai cittadini delle priorità, e dei sacrifici finanziari, che la sicurezza dei nostri Paesi richiede. Non può che deludere il segnale dato da Macron nella sua contrapposizione con il Capo di stato Maggiore francese, dimissionario per protesta contro il taglio di un miliardo € disposto dal nuovo Governo francese.
A un recente dibattito del prestigioso Circolo Studi Diplomatici un relatore ha giustamente osservato che ” in questo settore ogni Governo nazionale deve far fronte contemporaneamente a due necessità contrastanti, cioè dimostrare ai propri cittadini, in tempi di irenismo diffuso e di marce di Assisi, che le spese per la difesa non sono una delle sue priorità e nello stesso tempo convincere gli altri membri della Alleanza che non sta cercando discaricare su di loro la propria parte dell’onere comune…In più la compilazione dei bilanci è arte complessa e quindi in pressoché tutti i paesi le spese di questo settore finiscono con l’essere spalmate su diversi dicasteri, una procedura che la progressiva crescita del concetto di “dual use” rende di giorno in giorno più facile…Contribuisce infine ad aumentare la confusione anche il modo in cui, in anni di terrorismo rampante, sicurezza interna e sicurezza esterna sono divenute due facce della medesima medaglia. Difficile quindi, in tali condizioni, distinguere nettamente tra spese di polizia e spese militari.”
- b) Quanto agli strumenti e agli obiettivi dai quali partire per un “modello di Difesa Europea”, è interessante notare come le incertezze sulla solidità del rapporto transatlantico insorte nei primi mesi della presidenza Trump, e forse mai del tutto sopite almeno in alcune capitali della Alleanza, abbia stimolato un dibattito sulla deterrenza nucleare su cui i Paesi europei non nucleari possano fare affidamento (“l’ombrello nucleare”).
Ancor più dopo l’avvio della Brexit, alcuni analisti hanno ventilato l’idea che la ”force de frappe” francese possa venire condivisa con gli altri partner dell’Unione in un grande progetto di Difesa Europea. Trovo questa eventualità , onestamente, ancor più remota dopo aver ascoltato il discorso del Presidente Macron alla Conferenza degli Ambasciatori francesi del 29 Agosto. Mi è parsa ancor più diretta e pronunciata, nella sua impostazione rispetto a quella del suo predecessore, l’enfasi sul ruolo nazionale della Francia nel mondo, sicuramente “sovraordinata”- almeno nella presentazione che ne ha voluto fare- a quella dell’Unione in tutte le questioni che riguardano la Difesa, la Sicurezza, l’interesse nazionale della Francia e dei Francesi. Pensare che sia questo il momento propizio per suggerire a Parigi di condividere con altri il “sancta sanctorum” della Difesa nucleare, sembra per lo meno intempestivo.
Ma vi sono anche importanti ragioni di grande cautela e prudenza.
La deterrenza nucleare assicurata a tutti i Paesi dell’Alleanza Atlantica costituisce un pilastro fondamentale per la sicurezza dell’Europa. Poggia su definite strategie, linee di comando, forze operative a “doppia capacità”- convenzionale e nucleare- su un sostegno politico mai messo realmente in discussione da parte dei Governi interessati. Non credo sia interesse europeo sollevare con i partner nucleari dell’Alleanza- Usa, UK e Francia- ipotesi che sovvertirebbero Trattati, intese ,piani operativi e risorse senza che vi sia alcuna indicazione sufficientemente fondata da parte di Washington che le garanzie esistenti saranno riviste , attenuate o sottoposte a nuove condizioni. Una seconda considerazione riguarda le Forze Nucleari Intermedie (Intermediate Range Nuclear Forces-INF). Vi è preoccupazione alla Nato per asserite violazioni russe al Trattato INF firmato da Reagan e Gorbachev nel 1987. Se il quadro strategico e sub- strategico in Europa dovesse alterarsi , rendendo reale e non più ipotetico il paventato “decoupling” tra l’Europa l’America, la ricostituzione di una efficace deterrenza nucleare per i Paesi europei non può che avvenire in capo all’Alleanza Atlantica: per evidenti ragioni di esperienza, risorse, collegamenti tra i diversi livelli-strategici e di teatro- della difesa nucleare. Se ad esempio dovesse malauguratamente riproporsi la situazione che aveva portato negli anni ’80 allo spiegamento di sistemi INF per equilibrare l’aggressivo spiegamento di nuove armi nucleari sovietiche in Europa, una soluzione non potrà certo essere realisticamente trovata al difuori dell’Alleanza Atlantica nel suo insieme, soltanto con la Francia .
Invece di generare confusione sugli armamenti strategici, gli sforzi in direzione di una Difesa Europea dovrebbero rivolgersi a Cooperazioni Permanenti e Strutturate (PESCO) innovative , che abbiano positivo impatto sulla “resilience” delle infrastrutture strategiche , e rispondano a obiettivi complessi, coinvolgendo la sfera militare, l’intelligence, l’antiterrorismo, e la tutela dei dati informatici.
Con il Regolamento sulla Protezione dei Dati e la Direttiva sulla Sicurezza della Rete l’Unione Europea sta creando le premesse per un’evoluzione molto significativa della sicurezza informatica, della collaborazione tra pubblico e privato, e della interazione tra Paesi alleati per prevenire , resistere, e contrastare gli attacchi informatici. L’adozione – dopo due anni di lavori del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione- nel Luglio dello scorso anno di una normativa ampia e vincolante, sanzionata da precisi obblighi e responsabilità, sulla Protezione dei Dati è stata accompagnata dalla creazione di un “sistema strutturato” per la protezione di sei comparti strategici –energia, trasporti, credito, finanza, salute, risorse idriche- attraverso misure di rafforzamento della “prontezza operativa”, dello scambio di informazioni , della cooperazione sistematica tra Stati membri, e specialmente in caso di attacchi informatici . Completano il quadro la definizione di strategie nazionali, tra loro coerenti di cybersecurity, l’individuazione dei “business operators” di servizi essenziali, nonché dei “service providers”, la precisazione di standard obbligatori per i sistemi di sicurezza ai diversi livelli, e un nuovo mandato per l’Agenzia Europea per la sicurezza della Rete –ENISA- .
L’insieme di tutte queste misure entrerà in vigore il 25 Maggio 2018. Appare evidente il considerevole salto di qualità che si verrà a determinare , per l’Unione Europea, nell’”ambiente” della sicurezza informatica . Anche se per ora l’effetto “trasformativo” sulla cyber security non è stato in alcun modo collegato al processo di integrazione militare e alla creazione di una Difesa Europea, l’insieme delle misure di rafforzamento va anche a diretto vantaggio e beneficio di capacità militari. Pensiamo ad esempio alla logistica, le risorse essenziali, le comunicazioni. Difficile inoltre pensare a un efficace attuazione del Regolamento GDPR e della Direttiva NIS senza una approfondita interazione nello scambio di informazioni e di dati utili all’intelligence. Il terreno applicativo è tipicamente “dual use” e su di esso c’è ampio spazio per sviluppare strategie di Difesa anche di natura militare, di deterrenza , e di risposta. In prospettiva, riflettendo ad alternative a una deterrenza europea di natura nucleare, si dovrebbe considerare il fatto che le “cyberweapons” possono essere tanto strumenti di uso “convenzionale” della forza, quanto strumenti di “distruzione di massa” con effetti assimilabili a quelle dell’arma nucleare.
La trasformazione della sicurezza europea e della sua dimensione “Cyber” merita quindi di essere tenuta nella dovuta considerazione quando si discute di una Difesa Europea che prenda le mosse da Cooperazioni Permanenti e Strutturate, inizialmente dalla zona Euro date le caratteristiche alle quali abbiamo sopra accennato, per poi estendersi all’intera Unione.