Parte centrale politica estera. Da assistenza a partenariato
Milano, 1 ottobre 2012
Presidente Compaoré,
Signor Presidente del Consiglio,
Commissario Piebalgs,
Ministro Riccardi,
Signor Sindaco di Milano,
Dottor Scaroni,
Signore e Signori,
Voglio esprimere innanzi tutto al collega Riccardi l’apprezzamento per aver fortemente voluto un Forum sulla cooperazione, un tema che rimane centrale nella nostra attività internazionale.
Vale la pena interrogarsi sulle ragioni stesse del fare cooperazione. Noi, alla Farnesina, lo facciamo da tempo, sottoposti come siamo agli stimoli di un mondo che cambia, profondamente e velocemente.
Ritengo essenziale ed urgente un ampio, informato dibattito sul futuro della nostra cooperazione allo sviluppo. Le sfide con le quali l’Italia si confronta nella realtà internazionale, i sintomi di instabilità regionale, i nostri stessi obiettivi di crescita, le aspettative evidenti per un sempre più incisivo ruolo del nostro Paese nel rispondere alle proprie responsabilità globali, rendono ineludibile il ripensamento e la riorganizzazione degli strumenti operativi della nostra politica estera. Tra questi la cooperazione allo sviluppo deve rispondere appieno al suo profilo eminente e di eccellenza.
La rapida trasformazione che abbiamo vissuto negli ultimi decenni con una accelerazione verso nuovi equilibri geopolitici e verso processi di integrazione regionale pongono oggi l’equazione politica estera-cooperazione in termini nuovi, densi di problematicità e al tempo stesso di straordinarie prospettive. Tra queste ultime vorrei sottolinearne una in particolare: l’evoluzione dalla logica di assistenza e di aiuto ad una di “partenariato” con le nostre controparti. In molte visite e contatti degli ultimi mesi, soprattutto con rappresentanti dei governi africani, ho registrato una significativa insistenza su questo nuovo approccio. Condivido con i miei interlocutori questa impostazione che è divenuta parte integrante della strategia della nostra cooperazione.
La centralità della cooperazione, la sua intima appartenenza alla politica estera di ogni Paese – o ancor meglio la coincidenza stessa tra cooperazione e politica estera – risiedono nei suoi valori etici, nel dovere – avvertito da Stati, Organizzazioni Internazionali, società civile e da tutti i soggetti di cooperazione – di impegnarsi per un mondo migliore. Un mondo in cui si combattano la povertà e la fame; si riduca il divario nord-sud; si dia una risposta credibile alle sfide globali; si tutelino e si promuovano i diritti fondamentali, inclusa la libertà religiosa; si riaffermi la necessità di porre l’accento sull’uomo e sul suo pieno diritto a migliorare la propria esistenza.
È in base a queste considerazioni che – con la legge 49 del 1987 – il legislatore qualificò con lungimiranza la cooperazione come “parte integrante della politica estera dell’Italia”. Dopo un quarto di secolo si avverte indubbiamente la necessità di aggiornare questo strumento. Tutti i progetti di riforma in discussione, compreso quello oggi all’esame parlamentare, hanno tuttavia ben ribadito – rafforzandolo – questo nesso inscindibile tra cooperazione e politica estera.
Superfluo soffermarsi sulle dinamiche impresse dalla globalizzazione. Rispetto agli anni ottanta, si è accresciuta l’interdipendenza tra sicurezza, stabilità e sviluppo; nell’agenda globale, la cooperazione non è più strumento, ma assurge a vero e proprio investimento a vantaggio – permettetemi la vecchia terminologia – sia dei “donatori” sia dei “beneficiari”. Proprio in ragione di questi cambiamenti – che riguardano in maniera diretta il nostro Paese molto più di altri – politica estera e cooperazione coincidono. Non vi è politica estera senza cooperazione, così come non vi può essere cooperazione senza politica estera.
Se un adattamento va fatto alla legge che ancora oggi regola il modo di fare cooperazione in Italia, esso deve sanzionare il passaggio definitivo della cooperazione da strumento di politica estera a parte integrante e qualificante della stessa. Sono altrettanto convinto che sia fondamentale riconoscere – tanto più di fronte a tutti voi – quanto è stato possibile fare, in questi anni, grazie alla Legge 49. E questo anche a dispetto del fatto che – malgrado le successive modifiche che le sono state apportate – essa dimostri il segno del tempo.
Proprio nel solco tracciato da quella Legge abbiamo infatti potuto operare su molti e complessi scenari a livello globale, nonostante le difficoltà che questo stesso Forum sicuramente evidenzierà. Sono soprattutto le finalità che abbiamo perseguito con la nostra azione – molto ben declinate nella 49 – che ci hanno permesso di ottenere, negli ultimi decenni, significativi riconoscimenti da parte dell’intera comunità internazionale.
Il nostro costante impegno di solidarietà nella salute globale, nell’educazione, in agricoltura e nella sicurezza alimentare, nella tutela dei diritti dell’uomo e della libertà di religione, delle questioni di genere e dei diritti dei più vulnerabili ci ha valso attestazioni di stima e amicizia, che molto hanno giovato al ruolo e al prestigio del nostro Paese nel mondo. Credo che sia bene ricordarlo, e lo dico con cognizione di causa, in base alla mia passata esperienza a New York, ed ancor più oggi per gli attestati di gratitudine e riconoscenza che raccolgo in occasione dei miei incontri e delle mie missioni internazionali; da ultimo, la settimana scorsa durante il segmento ministeriale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Dato conto dei meriti della Legge 49, considero doveroso soffermarmi sull’evoluzione che al Ministero degli Esteri abbiamo cercato di imprimere in questi ultimi anni. Lo abbiamo fatto in linea con l’azione dei nostri pari nella comunità dei donatori. Siamo consapevoli che il settore pubblico non detiene il monopolio della cooperazione: ad essa e ai suoi valori sono da sempre – e sempre più – associati altri attori, qui tutti autorevolmente rappresentati. Ci siamo in sostanza impegnati per unire i nostri sforzi a quelli degli altri protagonisti, gettando le fondamenta di un “sistema”, certamente perfettibile, ma che funziona ormai da qualche anno.
Sono profondamente convinto che – ancor più in un contesto di risorse finanziarie limitate – coordinamento, coerenza degli interventi e ricerca di sinergie siano imprescindibili, arricchiscano quel patrimonio di condivisione e di co-partecipazione alle scelte, che è tradizionale nel modo di operare italiano e di cui non è sfuggito il valore ai nostri partners e interlocutori. Mi riferisco ai tavoli di concertazione che abbiamo promosso da tempo alla Farnesina, con la società civile, con gli Enti Locali, con l’Università, con le Fondazioni e anche con le imprese. E penso soprattutto al Tavolo Interistituzionale, promosso dal Ministero degli Esteri nel 2009 a livello inizialmente tecnico con il MEF, e che ha visto la partecipazione attiva e crescente di molti di voi oggi riuniti in questa sala.
Certo, il capitale che insieme abbiamo creato rischia di essere disperso. Non è facile agire in un quadro che molti giudicano, e non senza fondamento, di disattenzione per il mondo della cooperazione. La presenza stessa del Presidente del Consiglio e di due Ministri al Forum di oggi è prova evidente della volontà di invertire la tendenza.
Non ricapitolerò le ben note ragioni che hanno portato, nostro malgrado, a ridimensionare gli stanziamenti di bilancio per la cooperazione, ma può essere utile qualche elemento. L’impegno, ad esempio, che questo Governo ha posto per arrestare il recente trend discendente nelle dotazioni finanziarie. E poi, la concreta volontà di discutere, insieme, delle scelte da compiere in un settore vitale per il Paese e delle migliori modalità con cui attuarle. E’ un dibattito che può essere vivace ma fruttuoso, data la molteplicità di esperienze che i vari protagonisti del mondo della cooperazione possono mettere sul tavolo.
A tal proposito, possiamo capitalizzare su quanto, come Paese, siamo venuti sostenendo e promuovendo sulla scena internazionale. Nel 2009, ad esempio, in occasione della Presidenza italiana del G8, siamo stati tra i più convinti promotori di un approccio – ormai comunemente definito olistico – che guarda all’insieme degli attori, degli strumenti e delle risorse della cooperazione internazionale allo sviluppo, per ottimizzarne l’impatto. Abbiamo in quell’occasione lanciato un modo nuovo di intendere l’azione di cooperazione, sposato poi da altri, anche in vari ed autorevoli fori internazionali.
Grazie all’apprezzato contributo fornito all’evoluzione delle policies internazionali di sviluppo, l’Italia ha saputo inserirsi intelligentemente nel dibattito globale di oggi: penso per esempio alla fondamentale riflessione sull’efficacia dell’aiuto allo sviluppo, che ha trovato nel Foro di Busan il suo ultimo, importante momento fondativo.
La necessaria attenzione alla qualità ed all’efficacia degli aiuti e l’attiva partecipazione al dibattito su nuovi approcci, metodologie e fonti di finanziamento non fanno certamente venir meno la centralità della questione del volume dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Certamente, l’APS svolge un ruolo di catalizzatore rispetto ad altre fonti di finanziamento: ma è altrettanto assodato che, per essere leva di sviluppo, il volume dell’APS di un major player sulla scena globale come l’Italia deve essere adeguato.
Ed eccoci al nodo delle risorse finanziarie, che dobbiamo affrontare con decisione, se vogliamo preservare il nostro giusto peso negli equilibri internazionali e continuare a parlare con autorevolezza a livello globale. Purtroppo, negli ultimi anni abbiamo assistito a una drastica riduzione dei fondi assegnati alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, pari all’inizio di quest’anno a circa 200 milioni di euro, con tagli superiori all’80% rispetto al 2007 (quando lo stanziamento sfiorava 1,3 miliardi di euro). Nonostante il lieve aumento dell’anno scorso, il dato complessivo del nostro Aiuto Pubblico allo Sviluppo resta lontano dagli impegni assunti a livello internazionale, attestandosi nel 2011 allo 0,19% del Prodotto Interno Lordo. L’Italia deve invertire la tendenza, ed allinearsi, sia pur gradualmente, agli impegni presi con la Comunità internazionale.
Ma proprio la diffusa consapevolezza di questa evidente difficoltà ci deve indurre, da un lato, ad utilizzare meglio i fondi disponibili e, dall’altro, ad essere presenti e propositivi in tutte le sedi in cui si discute di cooperazione allo sviluppo. Gli ineludibili vincoli di spesa pubblica devono stimolarci a massimizzare l’impatto delle risorse impiegate, promuovendo una sempre maggiore coerenza e qualità degli aiuti.
In tale contesto, il quadro di riferimento per la nostra politica di cooperazione non può che essere l’Europa. Ce lo impongono la nostra tradizione europeista, oggi più che mai strategica in un contesto di sfide comuni, e la forza dei numeri: l’UE è il primo donatore mondiale; i paesi in via di sviluppo ricevono dall’UE e dagli Stati membri oltre il 50% del loro APS; oltre la metà dell’APS italiano è veicolato attraverso Bruxelles.
A livello europeo è ormai radicato un principio promosso da tempo dall’Italia che mira a sempre meglio integrare nella politica estera e di sicurezza comune tutti gli aspetti strategici dell’azione internazionale dell’Unione, dell’energia, del commercio, e in primis della cooperazione allo sviluppo. Di tale significativa evoluzione sono prova i documenti di azione specifica adottati in ambito europeo.
La nostra capacità di incidere sulle scelte di policy dell’UE e di orientarle in linea con le priorità italiane deve rimanere al centro della nostra azione.
Abbiamo dimostrato di saperlo fare.
A seguito della “primavera araba”, siamo riusciti ad indirizzare risorse verso i paesi del Vicinato Meridionale e a valorizzare il nesso tra migrazione e sviluppo, nel quadro di “Agenda for Change”. Migliora anche la partecipazione del sistema Italia agli interventi di cooperazione UE. Ma insieme possiamo fare di più, e meglio, anche grazie all’ormai prossimo avvio della collaborazione con la Commissione UE nell’ambito della “cooperazione delegata”, con gestione diretta di fondi europei in iniziative che rimarranno di matrice italiana. Permettetemi di dare qui pubblicamente atto degli sforzi che – in un contesto di scarsità di risorse tanto umane quanto finanziarie – la Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo del mio Ministero ha fatto per “superare l’esame” della Commissione Europea.
Abbiamo quindi davanti a noi prospettive importanti che ci rafforzano di fronte a sfide di enorme complessità. L’Italia dovrà parlare con autorevolezza, quando dovremo ridefinire le priorità e gli obiettivi politici dell’azione dopo il 2015; quando verrà cioè a scadenza l’orizzonte per raggiungere gli otto obiettivi del Millennio, e quando saremo chiamati ad integrare i nuovi Obiettivi di Sviluppo del Millennio con gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile. Più in generale, in tutti i fori di discussione sullo sviluppo, dovremo contribuire a fare chiarezza su che cosa si è raggiunto, sul molto che resta ancora da fare e sui principi di accountability, in base ai quali tutti verremo considerati responsabili.
Desidero quindi affermare con forza ancora una volta la necessità di investire nella cooperazione e nelle persone che scelgono di dedicarvisi, incoraggiando e incentivando – in particolare i più giovani – a porre il loro entusiasmo e le loro energie al servizio di questa causa.
Ci aspettiamo molto da questo Forum. Da questi due giorni di discussione, spero che emergano indicazioni intelligenti e creative su cosa fare, su dove investire, oltre che su come farlo. Questo Forum ha dunque una responsabilità importante, perché da qui dovranno uscire orientamenti anche per il cammino che la riforma della cooperazione sta compiendo in Parlamento.
Abbiamo, e concludo, un patrimonio da difendere: di idee, di esperienze, di buone pratiche, di lezioni apprese; so che questo è stato il Leitmotif della lunga e appassionante fase preparatoria di questo Forum. E’ un patrimonio che tutti siamo chiamati a preservare e a nutrire, per metterlo, anche nel futuro, al servizio di un mondo migliore.
Vi ringrazio e vi auguro un buon lavoro.