Brescia, 18 settembre 2018 ore 12.30 – Ristorante “La Sosta” Via S. Martino della Battaglia, 20
- Desidero esprimere le mie più vive congratulazioni agli organizzatori di questo importante incontro, in particolare al Notaio Giovanni Posio e al Professore Marco Frigessi di Rottalma. La presentazione del Dott. Gaboardi e in particolare l’intervento del Professore Joseph MacDougald hanno fornito elementi che sarebbe assai riduttivo definire “di riflessione”. Credo che quanto abbiamo ascoltato contribuisca a meglio definire strategie e piani operativi che consentano alle imprese di questa straordinaria “regione globale” che è la Lombardia di essere sempre più competitive su tutti i mercati.
– Che si discuta di questi temi a Brescia, in un quadro di approfondimento accademico e associativo -e soprattutto di impresa-, mi sembra particolarmente opportuno per le numerose interdipendenze che stanno caratterizzando i rapporti economici tra l’Italia e i suoi principali mercati, soprattutto tra Europa, America e Cina. Queste interdipendenze hanno assunto caratteristiche del tutto nuove, di cui la politica estera del nostro Paese e la politica commerciale dell’Unione Europea devono tenere seriamente conto. Non vi è più, di fatto, un singolo ambito dell’economia globale nel quale non si debbano riscrivere o riadattare politiche e parametri negoziali che Governi e operatori economici avevano come punto di riferimento sino a due anni fa.
– Vogliamo dubitarne? Se guardiamo a quanto sta avvenendo da quando, un paio d’anni or sono, è sembrato che la crisi apertasi con il fallimento della Lehman Brothers fosse superata grazie alla colossale immissione di liquidità da parte delle banche centrali nell’economia americana, europea, Giapponese e Cinese, e grazie agli interventi di stabilizzazione nell’Eurozona che hanno portato Irlanda, Portogallo e ora anche la Grecia al di fuori di un’area di crisi. Si sono accumulati elementi assolutamente nuovi, sia per quanto riguarda la politica non soltanto americana ed europea, sia le macro tendenze dell’economia mondiale.
– Se nessun ambito dell’economia globale è risultato immune in solo questi due ultimi anni da un radicale cambiamento, credo si debba constatare che l’impatto più significativo riguarda i tre principali protagonisti dell’economia globale: l’America, la Cina, l’Europa.
- L’America di Trump si è posta su una linea di frattura che tende a trasformare il multilateralismo consolidatosi nella fase vincente della globalizzazione, in un puntiglioso bilateralismo nei rapporti internazionali. Anche sui contenuti, l’inversione o quanto meno la forte correzione di tendenza è evidentissima: clima, ambiente, fiscalità, energia, regolamentazione finanziaria e bancaria, Trattati multilaterali (regionali o globali) per la liberalizzazione degli scambi, rapporti con la Cina, e con l’Europa, hanno preso una direzione marcatamente diversa da quella continuità che aveva invece caratterizzato, sia pure con scostamenti fra le amministrazioni democratiche e quelle repubblicane, la storia dei rapporti economici tra Stati Uniti e resto del mondo negli ultimi Settant’anni.
– Per quanto riguarda la Cina la crescita economica cinese (sia pur rallentata da squilibri macroeconomici, indebitamento complessivo e “guerra commerciale” con gli Usa), sostengono gli sforzi del Presidente Xi Jinping per consolidare un sistema di potere guidato dal Partito Comunista Cinese. Un potere sempre più accentrato nella figura di un Presidente ormai svincolato da termini di mandato e, apparentemente, da qualsiasi apprezzabile forma di opposizione interna. La trasformazione “neo imperiale” della potenza cinese avvenuta in questo decennio muta radicalmente i presupposti sui quali si erano basate le politiche Americane ed Europee verso la Cina dall’inizio della Presidenza Clinton. Lo sviluppo prodigioso dell’economia cinese – sia pure con carte spesso truccate dalla sottrazione illegale dei dati a aziende e ricercatori occidentali- i successi in campo scientifico e tecnologico (intelligenza artificiale, quantum computing, spazio e armi di ultimissima generazione) sono stati indotti e sostenuti da una globalizzazione estremamente sbilanciata in favore della Cina. Ciononostante sembra prevalere nel dibattito che si sta sviluppando nel nostro Paese sui grandi temi della Bel and Road of Initiative – BRI, della Via della Seta e in generale sul rapporto tra Europa e Cina una accoglienza entusiastica e incondizionata delle tesi di Pechino: tesi che magnificano i grandi vantaggi dei finanziamenti cinesi, la visione di una globalizzazione guidata Pechino, e la “superiorità” del modello sociale, politico e dell’ideologia cinese rispetto a tutto il resto dl mondo. Abbiamo persino ascoltato in alcuni dibattiti agostani nostre personalità politiche di grandissima esperienza nelle Istituzioni Europee, che dovrebbero quindi essere molto sensibili alla responsabilità di dover affermare sempre lo Stato di Diritto e i principi della democrazia liberale nel mondo, le abbiamo ascoltate queste personalità, ripetere come verità rivelata che BRI e Via della Seta sono “il Piano Marshall” di questo secolo: proprio secondo l’immagine propagandistica utilizzata dai think tank di Pechino. Dovremmo forse frenare questa scomposta ansia ad “essere i primi” nel cogliere luccicanti opportunità di affari in mercati estremamente complessi e opachi, dove regole del mercato, rispetto degli investitori stranieri, parità di trattamento e reciprocità passano sempre dopo, molto dopo, le priorità dell’interesse nazionale: un interesse che viene interpretato in chiave marcatamente ideologica, nazionalista e persino” militarista”. Negli USA, in Francia, Germania e Gran Bretagna le categorie imprenditoriali dei settori strategici maggiormente “a rischio” di acquisizione cinese, i Governi come ampi strati dell’informazione manifestano serie preoccupazioni verso l’ondata di acquisizioni strategiche cinesi, e stanno predisponendo misure di tutela dei propri interessi nazionali. Non dovrebbe l’Italia, con la necessità assolutamente vitale di tutelare il “Made in Italy” nelle imprese strategiche oltre che nei beni di consumo e nei servizi, dimostrarsi ben più sensibile al proprio interesse nazionale e alla esigenza di una oggettiva valutazione degli investimenti cinesi come sta facendo l’America di Trump, attraverso il Committee on Foreign Investments in the US (CFIUS)?
III) Ci sono le condizioni perché possa maturare una posizione unitaria europea o le politiche nazionali sono destinate a prevalere? Per chiunque opera, ad esempio, nell’economia digitale il mercato cinese è chiuso per chi non voglia o possa soggiacere alla cessione di tecnologie e di dati su server situati in Cina precluda completamente un principio di reciprocità e simmetria. Si constata che delle 17 più importanti acquisizioni cinesi di società europee tra il 2000 e il 2017 solo 3 o 4 sarebbero potute avvenire da parte europea in Cina con le regole esistenti in tale Paese. Come conseguenza di ciò nell’ultimo decennio gli ID cinesi in Europa sono passati da 700M€ a 30Mld€ superando di quattro volte quelli europei in Cina. Da almeno cinque anni gli investimenti cinesi in Italia nei comparti strategici delle comunicazioni, dell’ICT e dei trasporti marittimi ci hanno fatto perdere posizioni significative di proprietà e di controllo. E’ urgente una definizione di obiettivi nazionali e europei. Da alcuni anni il Parlamento Europeo e la Commissione hanno agito per evidenziare i problemi che potevano nascere da forme di controllo esteso da parte di Pechino sulle infrastrutture critiche dell’energia, delle comunicazioni, dei trasporti. Non si tratta di una partita facile. Con un gigante come la Cina la sola partita possibile è quella che deve essere giocata dall’UE nel suo insieme, e non dai singoli Stati membri. Inoltre, questa graduale partita deve essere assolutamente giocata nel più stretto coordinamento e intesa possibile con gli Stati Uniti.
- IV) Per quanto riguarda i rapporti dell’Amministrazione Trump con l’Unione Europea, un sospiro di sollievo è sicuramente stato per tutti noi dopo l’incontro del 25 luglio scorso tra Juncker e Trump. Rientrata la possibilità, che non poteva essere esclusa nelle settimane prima dell’incontro, di una accresciuta tensione commerciale fra Stati Uniti ed Europa: tensione che avrebbe danneggiato non poco anche l’Italia poiché la nostra esportazione verso gli USA è seconda soltanto a quella tedesca tra i paesi europei, con un export italiano pari a 40 miliardi di euro e un import pari a 15 miliardi di euro; la positiva prosecuzione del negoziato tra USA UE deve contribuire a attenuare uno squilibrio derivante soprattutto delle esportazioni tedesche verso l’America che vede le esportazioni europee nel settore “automobili e veicoli” di sei volte superiore alle importazioni dagli Stati Uniti. E’ interesse del nostro paese che l’enorme surplus commerciale tedesco nel settore automobilistico non si rifletta negativamente sul nostro export verso gli USA, che registra certamente un attivo, di circa 25 miliardi di euro, ma non è concentrato come quello della Germania nel settore automobilistico ed è assai inferiore a quello di 53,2 miliardi di euro registrato da Berlino.
- Le notizie di questi ultimi giorni confermano che nel negoziato EU – US, Washington intende procedere concludendo rapidamente – entro i prossimi due mesi – un’intesa nella maggior parte dei settori coinvolti, lasciando per il momento in sospeso l’automotive. Dopo l’ultimo incontro a Bruxelles tra il Commissario Cecilia Malmstrom e l’US Trade Representative Robert Lighthizer, gli americani hanno detto che contano di concludere i primi accordi entro novembre nelle “barriere tecniche al commercio”, come ostacoli regolatori, standard per la sicurezza e delle auto, medical devices e farmaceutici: tutti aspetti in discussione da anni ma senza risultato. Più complicato è risolvere le numerose questioni aperte nel comparto agricoltura e servizi finanziari, ma i progressi registrati tra Bruxelles e Washington negli ultimi giorni dovrebbero evitare nuove tensioni. Anche a Bruxelles vi è la sensazione che la priorità della “questione cinese” stia consigliando maggior flessibilità e comprensione tra UE e USA, ancor più dopo la decisone del Presidente Trump di voler andare avanti con l’imposizione di nuove tariffe di importazione su altri duecento miliardi di beni cinesi, in aggiunta ai cinquanta miliardi già tassati.
- La rilevanza di quanto precede per l’impresa bresciana e lombarda si spiega da sola. Qualche giorno fa Repubblica intitolava un bel servizio di Milano “boom dell’export ecco il miracolo di Brescia” rilevando come Brescia sia, in base ai dati gennaio – giugno 2018, il campione dell’export, con un +1,9% rispetto al +7,3% di Milano, + 6,6% di Bergamo e più 2,3% di Vicenza. L’articolo raccontava diverse “succes stories” del miracolo bresciano: di imprese dinamiche e competitive nei mercati mondiali, nei settori di alluminio, rame, zinco, ottone, profilati laminati, valvole rubinetti. Il trionfo dell’industria pesante, della manifattura, è l’altro “made in Italy” che nel mondo – sottolineava l’articolo de La Repubblica – conquista clienti e quote di mercato.
– Posizione dell’Italia nell’interscambio globale: è la vitalità delle nostre aziende esportatrici che ha sostenuto su tutti i mercati esteri l’economia italiana anche negli anni più duri della crisi finanziaria e della recessione post-Lheman Brothers. La stessa vitalità che trova in Brescia e nella Lombardia un riferimento esemplare, è dimostrata anche per il primo semestre 2018 da una crescita dell’export quasi quattro volte superiore alla crescita del PIL e, per il 2017 un +7,4% che porta un aumento delle nostre esportazioni verso il resto del mondo nell’ultimo triennio a un complessivo +14%. Più della metà dell’export è indirizzata ai paesi dell’UE, 249 miliardi di euro su un totale mondo di 448 miliardi di euro. Nei mercati extra-europei, di gran lunga più importante e dinamico è quello statunitense. Con una crescita delle nostre esportazioni che si situa attorno al + 34% nell’ultimo triennio. Il secondo mercato-Paese extraeuropeo, in ordine di importanza, è rappresentato dalla Cina, con 13,5 miliardi di nostre esportazioni nel 2017, e il quarto dalla Russia con 7,9 miliardi. Se guardiamo le macro aree, è molto significativa l’area Mediterranea, con esportazioni italiane di 27,3 miliardi nel 2017, e dell’America Latina, con 14,2 miliardi.
- Quali sono pertanto i nostri precipui interessi, da tutelare quale Stato sovrano, membro della Comunità internazionale, quale paese membro dell’UE, e quale responsabile paese fondatore e/o aderente alle principali organizzazioni internazionali che tutelano e promuovono la crescita economica, lo sviluppo sostenibile, il progresso sociale, e la sicurezza?
– L’internazionalizzazione della nostra economia e le caratteristiche dell’industria italiana non possono prescindere da un solido quadro di legalità e di rispetto delle regole definito e condiviso sul piano globale, attuato attraverso meccanismi giurisdizionali credibili ed efficaci. Si entra qui nella grande questione che riguarda il WTO (Word Trade Organization). L’Italia è convinta da sempre che le modalità di risoluzione delle controversie commerciali attraverso WTO costituisca una via ben più efficace di quella rappresentata da scontri diretti fra uno Stato e l’altro o tra gruppi di Stati. Si tratta di un’organizzazione con grande esperienza: più di 500 controversie sono state sottoposte al WTO negli ultimi venti anni e 350 di queste sono state risolte. Alla base del WTO stanno gli Accordi negoziati e sottoscritto dei principali protagonisti del commercio mondiale e ratificati dai loro Parlamenti, con l’obiettivo di assicurare flussi commerciali regolari, prevedibili e il più possibile liberi. Al WTO appartengono 160 Stati membri e rappresentano il 98% del commercio mondiale. La freddezza americana nei confronti di questa organizzazione non può che preoccuparci.
– Un altrettanto importante interesse nazionale per il nostro paese, e qui mi rendo conto di entrare in un argomento molto dibattuto tra le nostre forze politiche nella precedente e nella presente legislatura, è quello delle intese e accordi regionali tra UE e paesi terzi per liberalizzare gli scambi. Sappiamo bene le posizioni che sono state espresse a proposito dell’Accordo UE – Canada, conosciamo i dibattiti nella scorsa legislatura sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), abbiamo assistito alle vicende altalenanti del TPP (Trans-Pacific Partnership). In Italia, come d’altra parte negli Stati Uniti, una parte notevole delle contrapposizioni è dipesa da impostazioni ideologizzate, stereotipi e preconcetti. Non è certamente pensabile di comperare qualsiasi progetto di liberalizzazione regionale degli scambi a scatola chiusa. E’ ugualmente sbagliato respingerlo a priori senza neppure approfondirne i contenuti e i dati economici. Ciò che purtroppo è avvenuto nel dibattito italiano sul TTIP, così come in quello americano su TPP e NAFTA. La questione TPP potrebbe sembrare di scarso rilievo per il nostro paese: in realtà non lo è perché quanto accade tra nostri importantissimi partners economici dall’altra parte dell’Atlantico, non può non avere considerevoli riflessi anche sulle nostre economie. Non possiamo non prestare attenzione ai negoziati fra Stati Uniti, Messico e Canada sul North American Free Trade Agreement (NAFTA). A fine agosto mi è parsa una buona notizia l’Accordo raggiunto fra Washington e Città del Messico, nonostante le perduranti difficoltà con il Canada. L’esclusione di Ottawa, invece, costituirebbe la fine del NAFTA così come è stato concepito finora. Ma anche nell’Accordo con il Messico, non è tutto oro ciò che luccica. Anzitutto perché la percentuale di componenti automotive che deve essere prodotta negli Stati Uniti sale al 75% rispetto all’attuale 62,5%. Il che significa che circa la metà di queste componenti sarà fabbricata da lavoratori americani che guadagnano almeno 16 dollari all’ora, mentre l’altra metà da messicani con un salario di 2,30 dollari l’ora: una calamita molto forte per le aziende americane che ritengono conveniente superare comunque la quota della produzione consentita in Messico affrontando poi i dazi all’importazione negli Stati Uniti. Inoltre, l’elemento di arbitrarietà nelle nuove regole pretese da Washington incoraggia, secondo gli analisti, una minor produttività, più alti prezzi per i consumatori e un’industria automobilistica meno competitiva nel mercato Nord-Americano. Indubbiamente la politica intera a breve termine ha giocato un ruolo che va al di la degli interessi economici sia in Messico che in America. Il Presidente eletto Lopez Obrador, come quello uscente Pena Nieto, avevano bisogno di un accordo – fosse stato anche molto discutibile – prima dell’insediamento del nuovo Presidente il prossimo 1 dicembre. Trump ha invece potuto dimostrare l’efficacia della sua tecnica negoziale e della “leva” di una possibile imposizione tariffaria su tutte le importazioni di auto, avvalendosi anche dell’argomento legato alla “sicurezza nazionale” per giustificare tali imposizioni, bypassando le regole del WTO.
- Un ultimo, ma non secondario aspetto che mi sembra importante segnalare, riguarda la Cybersecurity: sia per quanto sta avvenendo all’interno dell’UE, sia nei rapporti tra Europa, Stati Uniti, Cina, Russia e altri paesi particolarmente avanzati nello sviluppo delle ICT. Si tratta di un argomento di grandissima portata sotto il profilo geopolitico, scientifico e industriale. Attraverso il Regolamento sulla Protezione dei Dati e la Direttiva sulla Sicurezza della Rete (GDPR), l’Unione Europea sta creando le premesse per un’evoluzione molto significativa della sicurezza informatica, della collaborazione tra pubblico e privato e dell’interazione tra Paesi alleati per prevenire, resistere e contrastare gli attacchi informatici. L’adozione nel luglio 2016 – dopo due anni di lavori del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione – di una normativa ampia e vincolante, sanzionata da precisi obblighi e responsabilità, sulla protezione dei dati è stata accompagnata dalla creazione di un “sistema strutturato” per la protezione di sei comparti strategici – energia, trasporti, credito, finanza, salute e risorse idriche – attraverso misure di rafforzamento della “prontezza operativa”, dello scambio di informazioni e della cooperazione sistematica tra Stati membri. Completano il quadro la definizione di coerenti strategie nazionali di cyber security, l’individuazione dei “business operators” di servizi essenziali e dei “service providers”, la precisazione di standard obbligatori per i sistemi di sicurezza ai diversi livelli e un nuovo mandato per l’Agenzia Europea per la Sicurezza della Rete (ENISA). Si tratta di sviluppi molto importanti per l’Italia. Recenti sondaggi rilevano infatti che solo il 46% delle imprese italiane si dichiarano pronte ad applicare tutte le misure previste dalle normative GDPR e NIS, sin dalla data della loro entrata in vigore, mentre l’88% precisa che sussistono ancora problemi tecnici, legali e organizzativi da risolvere urgentemente. Per la prima volta è stato realizzato in Europa un sistema normativo unitario sulla sicurezza dell’informazione, posto sotto la responsabilità delle Autorità nazionali, con la supervisione di quelle europee e regolato da comuni standard di sicurezza.
– Nell’automotive, un settore in rapidissima evoluzione, i moderni veicoli incorporano una gran quantità di tecnologia, soprattutto IoT, che espone loro ad attacchi. Pensiamo ad esempio ai sistemi di entertainment che rappresentano una potenziale porta di accesso per gli hacker. Ricordiamo notissimi esempi: l’hack del Jeep cherokee avvenuto nel 2015.
– Fiat Chrysler has recalled 1.4 million vehicles following security researchers hacked a Jeep Cherokee remotely by exploiting a vulnerability in its systems. One of the arguments most debated in the hacking and security community this week is the recent hack of a Fiat Chrysler Jeep.
The security experts Chris Valasek and Charlie Miller have demonstrated that car hacking could be a scaring reality, they provided a proof of concept of an attack scenario involving the popular journalist Andy Greenberg. The two hackers took control of a 2014 Jeep Cherokee driven by Greenberg arresting the car while Greenberg was driving. The experts were able to control various components of the a 2014 Jeep Cherokee, including the steering, braking, the engine, the car signals, windshield wipers and fluid, and door locks, as well as reset the speedometer and tachometer and the control of the transmission. A few days later the Fiat Chrysler recalled 1.4 million vehicles in the US possibly open to cyber attacks due to the presence of a vulnerability in the UConnect infotainment system. The researchers Valasek and Miller explained that an attacker could gain the control of the vehicle from everywhere by exploiting this vulnerability.
– A security researcher demonstrated that “car hacking” is reality through the exploitation of vulnerable Can Insurance Dongle. Million devices used by a popular car insurance company to track vehicles could be exploited by hackers to take control of a car, the discovery was made by Cory Thuen, a security researcher at Digital Bond Labs. Thuen has shared the results of its study “Remote Control Automobiles”, during last S4x15 conference held each January in Miami. This kind of devices is used by car insurance company to evaluate users’ driving habits in order to target the offer for them. Progressive is the name of the manufacturer of a dongle called Snapshot that plugs into the OBD-II diagnostic port that is present on almost every modern car. But has I explained in a past post on the car hacking, this port could be also the entry point for an attacker. Thuen discovered several issues by reverse engineering the device firmware and testing the hardware on his Toyota Tundra. The dongle fails to authenticate to the cellular network and not encrypt its traffic, but most concerning aspect is that its source code is not signed allowing an ill-intentioned to modify or replace it. In order to run a successful attack, a bad actor need to compromise also the u-blox modem, which is used to establish a connection between the Progressive servers and the dongle, but Thuen explained that is not a problem because such systems have been already exploited in the past.
– A simple sticker attached on a sign board can confuse any self-driving car and potentially lead an accident. We have discussed car hacking many times, it is a scaring reality and the numerous hacks devised by security experts demonstrated that it is possible to compromise modern connected car. The latest hack demonstrated by a team of experts is very simple and efficient, a simple sticker attached on a sign board can confuse any self-driving car and potentially lead an accident. The hack was devised by a group of researchers from the University of Washington that explained that an attacker can print stickers and attach them on a few road signs to deceive “most” autonomous cars into misinterpreting road signs when they are altered by placing stickers or posters. The sign alterations in the test performed by the researcher were very small, even if they can go unnoticed by humans, the algorithm used by the camera’s software interpreted the road sign in a wrong way.
– Tutto ciò apre a scenari allarmanti in cui attori nation state potrebbero attuare programmi di sorveglianza o sabotaggi proprio attraverso il car hacking.
– Quali suggerimenti si potrebbero dare alle Pmi per affrontare con serenità questi mercati internazionali? La globalizzazione prosegue in forme diverse da quelle tradizionali, trainata dalle tecnologie digitali. Si accresce nel PIL la componente immateriale, intellettuale, di innovazione e ricerca. Se gli scambi di beni e servizi e l’impulso dato alle catene globali del valore dal basso costo del lavoro si stanno ridimensionando, la diffusione delle nuove tecnologie fa sì che una generalità di attori, che sino ad ora ne erano esclusi o impediti, possa ora partecipare agli scambi internazionali in una misura sconosciuta in passato, si tratti di aziende di piccola dimensione o di grandi imprese multinazionali. Le catene globali del valore hanno raggiunto in molti casi una fase matura. L’insorgere di problemi nelle economie emergenti ha provocato il riflusso della delocalizzazione. Il vero motore della crescita risiede nei flussi digitali. Cisco System calcola che dal 2005 al 2016 i flussi digitali transnazionali sono cresciuti di 90 volte e ne soli prossimi quattro anni aumenteranno di altre 13 volte. Le sfide da affrontare riguardano le persone, le imprese e i Governi. Le realtà periferiche o escluse dall’interconnettività globale rischiano di arretrare specialmente se sono carenti per infrastrutture e professionalità. La sfida che coinvolge in particolare, le Piccole e Medie Imprese è essenzialmente quella dell’economia digitale. l’Italia può avere le carte in regola per diventare una “start up nation” competitiva a livello globale.