“L’Italia protagonista in Europa e nel Mediterraneo”
Brescia, 5 ottobre 2012
Magnifico Rettore dell’Università di Brescia,
Chiarissimi Professori e cari studenti,
Signore e Signori,
rivolgo a tutti voi un cordialissimo saluto e vi ringrazio per la calorosa accoglienza. Sono molto lieto di essere in questa prestigiosa Università per inaugurare l’Anno Accademico 2012-2013. Sono molto grato al Magnifico Rettore, il Professor Sergio Pecorelli, per il cortese invito e la bella introduzione. Conosco da tempo il Professor Pecorelli, e ne ho altissima stima personale e professionale. Ricordo che nell’ottobre del 2009 venne in Ambasciata a Washington per conferire a una brillante scienziata italiana il premio istituito in onore di Camillo Golgi, il grande bresciano vincitore nel 1906 del Nobel per la medicina e la fisiologia.
E’ per me del tutto naturale ricordare la figura di Camillo Golgi quando parlo di politica estera. Il soft power di un Paese dipende anche dal prestigio internazionale della sua ricerca e della sua cultura, quando i risultati della produzione scientifica e culturale sono opportunamente comunicati. Non tutti se ne rendono pienamente conto, ma viviamo in una società globale in cui, più del rating di poche agenzie di credito, conta la “pagella di influenza”; una pagella, i cui voti sono dati dall’autorevolezza e dalla credibilità delle eccellenze del patrimonio scientifico e culturale. L’Italia ne ha avute tante, e continua a produrne molte, di eccellenze. Ma non sempre le ha valorizzate appieno.
La storia di Camillo Golgi è un esempio indicativo. Dovettero trascorrere più di dieci anni tra il giorno in cui Golgi rese note le sue scoperte sul sistema nervoso e il momento in cui la comunità scientifica internazionale se ne accorse. Tale ritardo fu essenzialmente dovuto al fatto che Golgi pubblicò i risultati dei suoi studi su riviste scientifiche a diffusione locale. Quando invece li divulgò su riviste internazionali, Golgi fu immediatamente sommerso dai più alti riconoscimenti. Nel discorso di accettazione del premio Nobel, egli ricordò con una punta di amarezza che per circa dieci anni aveva raggiunto risultati migliori di quelli ai quali l’attenzione della comunità scientifica si era rivolta.
L’esempio di Golgi deve incoraggiarci a puntare sul lavoro, la ricerca e l’innovazione, ma anche su un sistema di relazioni internazionali in grado di dare visibilità ai risultati. D’altra parte, nella società globale in cui viviamo, è anche essenziale per la competitività di un Paese favorire le connections, cioè la capacità di trarre nuove idee dalla comunità della conoscenza con la quale si è in contatto.
Per questo, ho voluto attribuire alla diplomazia scientifica un ruolo cruciale nel ministero economico della Farnesina. Nei miei incontri con delegazioni straniere ho sempre sottolineato l’interesse all’internazionalizzazione del sistema universitario italiano. Ho chiesto alla rete diplomatica di fornire il più ampio sostegno agli sforzi di proiezione esterna delle nostre università, di promuovere l’attrazione di ricercatori e studenti stranieri, di valorizzare all’estero il nostro sistema accademico.
Ieri ho inoltre inaugurato con il Ministro Profumo, una piattaforma informatica, Innovitalia.net, con lo scopo di promuovere e facilitare il networking tra gli scienziati italiani all’estero e in Italia, le Istituzioni e i centri di ricerca. Mi auguro che anche i ricercatori dell’Università di Brescia vorranno contribuire ad alimentare la nuova piattaforma con idee stimolanti.
Un altro grande successo è stata l’operazione realizzata con l’associazione Uni-Italia per attrarre studenti cinesi in Italia. La ripeteremo presto in Brasile, Vietnam, Indonesia e in altri Paesi ancora. E ripongo grandi aspettative anche nell’Anno della Cultura italiana negli Stati Uniti nel 2013, progettato come “piattaforma di opportunità” per l’intero sistema Italia, incluse le università. La Farnesina è inoltre pronta ad aiutare università, ricercatori e studenti a cogliere le enormi opportunità offerte dalle tante e significative iniziative di cooperazione universitaria sviluppatesi nel Mediterraneo.
Il richiamo all’ingegno di Camillo Golgi mi incoraggia ad adottare una prospettiva più ampia. Se, come sosteneva Kant, il genio è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, credo di poter definire geni della politica coloro che hanno concepito il progetto europeista, comprendendone fin dall’inizio la vitale necessità. Con straordinaria lungimiranza, De Gasperi, Adenauer, Schuman e Monnet decisero di ricostruire l’Europa su un terreno in cui l’europeo comune, annichilito da anni di guerre e di odio, vedeva solo macerie materiali e aridità morale.
Grazie all’immaginazione e all’intelletto dei Padri fondatori, l’Europa è nata con circoscritti strumenti economici, ma con i massimi obiettivi politici: quelli dell’affermazione della pace, della democrazia e delle libertà individuali. L’aspetto davvero geniale è che il sogno di pochi è diventato la realtà di tutti: l’Europa è diventato il continente più sicuro e prospero. Anche in tempi di crisi, l’Europa è l’area più ricca al mondo e il più grande donatore di aiuti allo sviluppo.
Per molti anni, la genialità di questo innovativo processo politico è stata riconosciuta da governi, cittadini, imprese e studiosi. Tutti gli europei hanno beneficiato della grande espansione di opportunità economiche, dell’aumento degli scambi e della concorrenza, di una più estesa libertà di movimento, di cui hanno goduto lavoratori, turisti e gli studenti della generazione Erasmus. La straordinaria forza del progetto è stata irrobustita dal gran numero di Paesi europei che vi hanno aderito e di Paesi extra-europei che l’hanno emulato.
Eppure, già nel 1951, Alcide De Gasperi aveva percepito e sottolineato il rischio di fragilità insito nella costruzione europea. Lo statista trentino aveva avvertito gli europei che se noi costruiremo soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore […] rischiamo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale. Potrebbe anche apparire a un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva quale apparve in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero.
Abbiamo costruito amministrazioni comuni, un mercato e una moneta unici, ma non sempre siamo riusciti a infondere una volontà politica superiore. Gran parte della vitalità e dell’energia del dibattito politico è stata indirizzata a temi di politica interna. Deficit di comunicazione e di partecipazione hanno allontanato molti dall’Europa. Quando poi la crisi del debito sovrano ha evidenziato un difetto strutturale del processo di integrazione, è apparso chiaro a molti il rischio avvertito da De Gasperi.
Può disorientare chiunque scoprire che i progetti di una vita devono essere rimandati a causa di squilibri della costruzione europea. Come si fa ad accettare il fatto che non si può acquistare casa, trovare lavoro o avviare un’impresa a causa di ingiustificati spread? Tale comprensibile frustrazione non deve però farci regredire di sessant’anni, non deve farci smarrire l’obiettivo di fondo, ma indurci ad aumentare l’impegno per porre fine agli squilibri.
Con questo spirito, il Governo di cui mi onoro di far parte ha affrontato la situazione di emergenza che è stato chiamato a gestire, adottando con urgenza le riforme necessarie al Paese. Abbiamo impresso una svolta all’economia e vediamo la luce alla fine del tunnel. Lo abbiamo fatto per l’Italia e gli italiani, ma non abbiamo mai perso di vista l’obiettivo europeo. Anzi, lo abbiamo perseguito con determinazione.
Grazie alla rinnovata credibilità del Presidente Monti, l’Italia è stata protagonista in Europa. Siamo stati in grado di raccordare il dibattito sulla governance economica e la disciplina di bilancio con la strategia della crescita, degli investimenti e di un mercato interno sempre più integrato. Abbiamo promosso il nuovo meccanismo di stabilità dal quale – è un dato che molti dimenticano – l’Italia non ha attinto aiuti; al contrario, in nome del principio di solidarietà, lo ha alimentato con risorse reali: siamo i terzi contributori.
Abbiamo inoltre orientato il dibattito europeo, ottenendo di andare al cuore dei problemi. In questo modo, nel rispetto della sua indipendenza, abbiamo creato l’humus perché la Banca Centrale europea potesse attuare una politica monetaria più incisiva. E anche se i tassi di disoccupazione giovanile sono ancora troppo alti, abbiamo sempre agito nell’interesse dei giovani. Il rispetto dei vincoli di bilancio e l’abbandono della sub-cultura economica fondata sul debito sono la risposta più concreta per preservare l’avvenire delle generazioni future dall’ingordigia della politica del presente. Risparmiare oggi significa aver più risorse domani. Ridurre gli sprechi e aumentare l’efficienza significa porre le premesse per la crescita.
L’Italia intende ora far compiere all’Europa un ulteriore salto di qualità, un vero e proprio balzo in avanti. L’Europa che vogliamo è un’Unione politica, che abbia calore, vita ideale, in cui i cittadini, con i loro bisogni e i loro sogni, tornino a essere al centro del dibattito. Questo non è un tentativo di sottrarci alla responsabilità delle sfide economiche. Ma è il solo modo per arginare i tentativi di coloro che sfruttano il momento critico per diffondere i semi tossici del populismo e della sfiducia.
Come ha osservato Il Presidente Napolitano “il profondo disorientamento […], il diffondersi – anche attraverso movimenti politico-elettorali di stampo populista – di posizioni di rigetto dell’Euro e dell’integrazione europea, il radicarsi – tra gli investitori e gli operatori di mercato su scala globale – della sfiducia nella sostenibilità della moneta unica e della stessa Unione, possono superarsi perseguendo decisamente, e non solo a parole, la prospettiva di una Unione politica europea di natura federale”.
Vogliamo allora farci promotori di una dinamica nazionale che alimenti la dialettica europeista. Il momento è favorevole: le decisioni della Bce, la sentenza della Corte costituzionale tedesca sull’ESM e le elezioni in Olanda hanno schiarito l’orizzonte. “Un piccolo angolo di cielo blu sull’Europa”, titolava Le Monde già nelle scorse settimane. Oggi il cielo sull’Europa è sempre più blu. E l’Unione politica non è più un tabù, né un obiettivo impossibile. Ma facciamo in modo che non diventi un vuoto proclama, una sorta di “eden” della politica, che tutti esaltano, ma dove nessuno vuole andare subito. Occorre invece fare presto, accelerare il processo di unificazione europea.
Con questa convinzione ho partecipato ai lavori del Gruppo di riflessione sul futuro dell’Europa costituito su iniziativa del Ministro tedesco Guido Westerwelle e che ha riunito 11 Ministri degli Esteri dell’Unione Europea. Nel rapporto finale adottato dal Gruppo è ripresa integralmente la mia analisi in base alla quale l’Unione necessita di più integrazione tra gli strumenti dell’azione esterna. E anche quella secondo cui è necessario lavorare al rafforzamento del profilo globale dell’Europa, della sua legittimità democratica e del funzionamento delle sue istituzioni.
Molti europei sono pronti a intraprendere il cammino verso una nuova forma di federalismo – di “poliarchia funzionale”, secondo l’idea manifestata dal Presidente Napolitano – purché si indichi loro in modo chiaro la direzione in cui si vuole andare. Promoviamo allora il dibattito e avviciniamo l’Europa ai cittadini! Chiedo al Parlamento europeo, ai Parlamenti e ai partiti nazionali di stimolare la discussione e il confronto. Abbiamo bisogno di consenso popolare per rafforzare l’azione unitaria contro le forze disgregatrici.
I prossimi mesi saranno decisivi. Il Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, sta elaborando con i Presidenti della Commissione, della Banca Centrale e dell’Eurogruppo una tabella di marcia. I temi sono fondamentali: l’unione bancaria, l’unione di bilancio, l’unione economica e la legittimità democratica di un’unione politica più profonda. Dalle decisioni del Consiglio europeo di dicembre su questi quattro punti dipende il nostro futuro. E’ un’occasione unica per consentire all’Europa di riconciliarsi con il calore della politica, per precisare cosa intendiamo per solidarietà, responsabilità, sovranità europee. Questa è la condizione perché l’Unione politica si compia.
Nel 2014, a un secolo dallo scoppio della prima guerra mondiale che segnò il ridimensionamento delle potenze europee, l’Italia sarà Presidente di turno dell’Unione Europea. Se ci faremo trovare pronti a questo appuntamento con la storia, se affronteremo alle radici le questioni e faremo crescere la consapevolezza della necessità di più Europa, se creeremo uno spazio politico in cui Parlamenti, partiti e società civile potranno confrontarsi, nel semestre di presidenza italiana l’Europa potrà assumere la forma di un’Unione politica di natura federale e tornare così a essere protagonista del mondo. E’ un obiettivo molto ambizioso, ma possiamo farcela. Ispiriamoci alla visione dei Padri fondatori e lavoriamo sodo per attuarla. Nella consapevolezza, come disse un grande inventore, Thomas Edison, che “il genio è un per cento ispirazione e novantanove per cento sudore”.
L’Italia non è solo protagonista in Europa, ma anche nel Mediterraneo. La Primavera araba ha rivoluzionato gli scenari politici, ha mutato gli equilibri, ma il nostro Paese è sempre il primo attore nella regione. Le cifre parlano chiaro. Nel “grande Mediterraneo” il nostro export è cresciuto nel 2011 del 19%; l’interscambio complessivo – più di 82 miliardi di euro – è aumentato del 4%; oltre 3.300 aziende italiane sono presenti nell’area. Nei Paesi della primavera araba, anche dopo le rivolte, continuiamo ad avere posizioni di vertice: siamo i primi investitori in Libia e in Tunisia, il primo partner economico della Libia e il secondo di Tunisia e Egitto. L’Italia è stato il primo Paese occidentale in cui si è recato in visita il Presidente Morsi. Anche il neo Presidente del Congresso Nazionale libico aveva scelto Roma come prima missione estera, ma è stato costretto a rimandarla a causa dell’attacco terroristico di Bengasi.
Non è solo per gli intensi rapporti economici che i popoli arabi si rivolgono a noi in questo momento cruciale; ma anche per la nostra unica capacità di comprenderne le esigenze e per il nostro approccio pragmatico e credibile. Sappiamo coinvolgerli verso obiettivi comuni con aiuti e partenariati concreti. Non ci deve sorprendere se è con l’Italia che le nuove leadership di Egitto e Tunisia hanno concluso nuovi partenariati strategici. La nuova Libia ha firmato con l’Italia la prima intesa bilaterale e ha avviato con noi tanti concreti progetti di cooperazione.
Ad analogo pragmatismo mi sono ispirato quando ho deciso di riavviare il Dialogo del 5+5, ospitando a Roma la Ministeriale Esteri, che ho presieduto con il Ministro tunisino. Ho voluto che il dialogo euro-mediterraneo fosse sostenuto da progetti tangibili. I risultati sono stati incoraggianti; e ne attendiamo altri ancora più ambiziosi dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo del Dialogo 5+5, che si svolge oggi a Malta con la partecipazione del Presidente Monti.
La costruzione di un sistema democratico è lenta, complessa, irta di insidie. E le transizioni arabe presentano elementi di incertezza e imprevedibilità. Non è sufficiente perché si radichi la democrazia, ma è comunque incoraggiante il fatto che si siano svolte libere e ordinate elezioni in Egitto, Tunisia e Libia. I risultati indicano che è al momento prevalente una rappresentanza politica dell’Islam; ma non è ancora chiaro quali valori islamici prevarranno.
Il primo cruciale tagliando per verificare il livello di avanzamento del lungo percorso democratico sarà l’adozione delle nuove Costituzioni. Per questo, in tutti i miei incontri con i nuovi leader arabi, ho sempre manifestato la forte aspettativa che le carte costituzionali accolgano i valori di pluralismo, tolleranza, tutela della condizione femminile e rispetto delle minoranze religiose.
Vorrei concludere con un messaggio di fiducia. In Europa e nel Mediterraneo si è consumata per anni – seppur in misura completamente diversa – una frattura tra parole e cose, tra promesse e fatti, tra aspirazioni e realizzazioni. Una delle ragioni per le quali l’Italia è tornata a essere protagonista in Europa e nel Mediterraneo, è che la sua politica estera è stata concreta, coerente e credibile.
“Cose e non parole” era uno dei motti de “Il Caffè”, il periodico dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria stampato nel ‘700 a Brescia per sfuggire alla censura austriaca. Un motto che esprimeva la volontà di modificare il clima intellettuale, incapace di cogliere la realtà e le esigenze della società in trasformazione. Con taglio pratico, capace di coinvolgere i lettori, il foglio illuminista fece avanzare le istanze riformatrici e contribuì al rinnovamento della cultura italiana. Quella brillante esperienza può aiutarci a costruire l’Italia, l’Europa e il Mediterraneo che vogliamo. Se sapremo unire “parole e cose”, immaginazione e impegno concreto, entusiasmo e coerenza del lavoro quotidiano, potremo realizzare i più ambiziosi obiettivi e consegnare a voi, alle nuove generazioni, un futuro migliore. Grazie.