Presentazione del libro “Democrazia sociale di Amintore Fanfani” dell’On. Mario Baccini
8 novembre 2012
Ringrazio molto l’Onorevole Mario Baccini per l’invito a intervenire a questa presentazione del suo bel libro sulla democrazia sociale di Amintore Fanfani. Sentivamo forte l’esigenza di approfondire tale aspetto della visione e dell’azione di uno dei Padri costituenti e di uno dei principali protagonisti dell’Italia repubblicana, che fu 6 volte Presidente del Consiglio, 5 volte Presidente del Senato, 4 volte Ministro degli Esteri, 7 volte a capo di altri Dicasteri e unico italiano a essere stato finora eletto Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Comprendere la concezione di democrazia sociale di Fanfani è essenziale per leggere le dinamiche politiche di quel periodo, ma anche per tornare a guardare al futuro del Paese con la fiducia e l’entusiasmo dello statista toscano.
L’influenza delle idee di Fanfani sugli sviluppi politici di fondo dell’Italia contemporanea è evidenziata dal fatto che egli fu l’autore della formula forse più popolare del testo costituzionale, quella dell’articolo 1: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Una formula che segna anche la strada maestra perseguita dall’azione del Governo di cui mi onoro di fare parte per affrontare le difficoltà del mercato del lavoro e dare un futuro migliore ai tanti, troppi disoccupati, in particolare ai giovani e alle donne.
C’è un’altra ragione per la quale accolgo con interesse la pubblicazione di questo libro. La caduta del muro di Berlino ha confermato ciò che avevamo sempre saputo: l’assurdità di tesi fondate sul collettivismo e sulla limitazione di libertà fondamentali dell’uomo. Negli ultimi anni, la crisi economica e le imprudenze di un’irresponsabile finanza hanno però dimostrato anche la fragilità di teorie basate sul credo fideistico nelle forze del mercato e nella loro capacità di autoregolamentarsi.
Ha invece resistito alle mode del tempo ed è ancora estremamente attuale la lezione di Fanfani. Egli fu uno degli ideatori di una via intermedia tra uno sfrenato capitalismo e un asfissiante monopolio statale dei mezzi di produzione. Una terza via, come la definirono alcuni, fortemente ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, secondo cui il progresso economico non può mai prescindere dal rispetto dei valori etici e non può essere quindi fondato sullo sfruttamento e sulla prevaricazione.
Partendo da queste premesse, Fanfani pose al centro della sua visione la persona; ma proprio tale scelta lo indusse a individuare nell’intervento statale lo strumento per rimuovere i tanti ostacoli all’espansione dell’individuo in persona. Rimovendo tali ostacoli, “lo Stato – secondo la colorita definizione di Fanfani – è il grande spazzino della società a beneficio della persona che vuol correre verso la sua perfezione”.
Disuguaglianze, rendite di posizione, barriere alla mobilità sociale creano le condizioni per classi sociali rigide e contrapposte. Fanfani credette invece nella capacità di prevenire il conflitto di classe, favorendo la creazione di un grande ceto medio in grado di offrire opportunità a chiunque avesse le capacità. Questa intuizione consentì di espandere gli spazi di libertà e di contenere gli antagonismi fomentati da un mondo diviso in blocchi contrapposti.
Le crescenti e sproporzionate disparità di reddito, che dobbiamo constatare un po’ ovunque nel mondo, ci portano a ripercorrere ancor oggi l’insegnamento di Fanfani. Egli ha infatti dimostrato che è possibile rafforzare il debole senza indebolire il forte, creare le condizioni per la diffusione della ricchezza senza impoverire i più abbienti, contrastare le sperequazioni con la buona amministrazione, il rispetto della legalità e il merito, la sicurezza e la crescita. In questa visione mi sono sempre ritrovato. E cerco quotidianamente di metterla in pratica nell’azione del Ministero degli Esteri, la cui missione è sempre più quella di contribuire a far ritrovare al Paese lo slancio del periodo dei primi governi Fanfani, quando – a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta – l’Italia fu artefice di un miracolo economico ed entrò nel gruppo dei Paesi più industrializzati e ricchi.
C’è un’altra caratteristica di Fanfani, alla quale oriento la mia azione: la sua concretezza. Fanfani non fu solo un pensatore capace di anticipare i temi del dibattito contemporaneo, ma anche uno statista in grado di tradurre le convinzioni in soluzioni ai problemi della gente. La democrazia sociale di Fanfani non fu mai utopica o ingenua aspirazione a un nuovo sistema ideale, ma concreta risposta ai bisogni del popolo. Il motore della sua azione sta proprio in questa capacità di coniugare spinta ideale e approccio realistico: se la si ignora, si corre il rischio di guardare al suo pensiero come a un’astratta dottrina economica, rilevante ma priva di tangibile valore. E invece la sua dote vincente fu proprio l’efficacia, la propensione ad affrontare anche le questioni più complesse con pragmatico entusiasmo: considero fondamentale tale qualità per proporre anche oggi soluzioni innovative – ma realistiche – per il futuro del Paese.
L’abilità di conciliare realismo e ideali, l’influenza dell’ecumenismo di La Pira e la sensibilità ai bisogni dei più poveri, si tradussero in politica estera nella sua particolare attenzione alle esigenze di giustizia sociale delle nazioni, al rispetto dei diritti dell’uomo e alla cooperazione internazionale. Il nome della pace – diceva – si chiama sviluppo. Non è un caso quindi che nel primo discorso da Presidente della XX Assemblea dell’ONU, Fanfani abbia collegato i temi del disarmo e della pace con quello della stabilità economica, osservando che “i progressi in materia di disarmo renderanno possibile la mobilizzazione di maggiori risorse ed energie in favore dello sviluppo economico”. Anche per questa ragione, senza cedere a suggestioni di equidistanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica, Fanfani lavorò per il disgelo e per fare affermare una concezione universalistica dei valori di pace e solidarietà.
Non tutti lo ricordano, ma questo suo universalismo lo portò anche ad anticipare la necessità di riconoscere il ruolo della Repubblica popolare cinese, molto prima dell’apertura del Presidente Nixon. Fu un’iniziativa prematura, non coronata da successo, ma indicativa del suo eccezionale intuito politico. La sua lungimiranza si riflette anche nelle posizioni sull’Europa: nel 1966, in un discorso alla Camera dei Deputati, egli manifestò “la convinzione che la collaborazione comunitaria, per progredire verso il suo pieno sviluppo, deve necessariamente estendersi […] dal campo economico a quello politico”. Parole estremamente attuali, che continuano a ispirare la mia azione europeista.
Tante altre volte, Fanfani ebbe in politica estera posizioni anticipatrici che consentirono al Paese di bruciare le tappe e avvantaggiarsi rispetto ad altri concorrenti. Fu ad esempio in Fanfani che Enrico Mattei trovò una forte sponda politica per affermare la strategia di indipendenza energetica del Paese e la FIAT per avviare i suoi investimenti in Unione Sovietica. Nello scacchiere mediterraneo, Fanfani assecondò le aspirazioni dei popoli alla libertà, perseguendo gli interessi delle nostre imprese. Fu un’azione lungimirante ma non semplice, anche perché non sempre gradita a quanti avrebbero preferito un’Italia subalterna. E resta ancora valida la risposta di Fanfani alle critiche di alcuni Senatori sulla scelta di contribuire con soldi pubblici allo sviluppo di Paesi mediorientali. Egli osservò che l’Italia non poteva sottrarsi “ad iniziative di solidarietà rivolte al vicino oriente, dei cui progressi economici i primi ad essere avvantaggiati sono gli operatori economici, l’intera nazione italiana”.
La tenacia e la lungimiranza di Fanfani nel portare avanti i suoi ideali e gli interessi del Paese sono uno straordinario insegnamento per tutti i rappresentanti di istituzioni e di imprese, per gli uomini di pensiero e di azione che oggi intendono mettere il loro impegno al servizio dell’Italia, per farle ritrovare lo slancio perduto, senza perdere mai di vista il suo ruolo di promozione internazionale dei valori della persona e della solidarietà.