Firenze, 18 Maggio 2017
Auditorium del Consiglio Regionale della Toscana
- Il caso Venezuela.
Il disastro istituzionale, politico, sociale ed economico nel quale sta sprofondando la “Costituzione Bolivariana “del 15 Dicembre 1999 – e con essa il Chavismo – è certamente tra i più gravi, se non il più grave, di un’erosione globale e regionale dello Stato di Diritto, con implicazioni preoccupanti per le libertà fondamentali, i diritti umani e politici.
Alla fine degli anni ’90 in America Latina vi è stata una nuova ondata di Leadership, dopo quelle di Peron e di Kirchener in Argentina, di Getulio Vargas in Brasile, di Fujimori in Perù, che hanno basato la loro legittimazione e il loro potere su mandati forti, ottenuti direttamente “dal popolo”. Tra essi spicca la storia di Hugo Chavez e della costituzione Bolivariana. Dopo il fallito del colpo di stato nel 1992 e la reinvenzione di sé stesso come leader dei diseredati, Chavez vinse le elezioni presidenziali del ’98 con il vasto sostegno delle classi economicamente più deboli che costituivano l’ampia maggioranza del Paese, nonostante la grande ricchezza petrolifera del Venezuela. Attaccando costantemente l’oligarchia Chavez prometteva l’eliminazione della povertà e la vera democrazia. In uno sforzo di autopromozione della propria immagine, monopolizzava decine di ore settimanali di trasmissioni radio secondo un modello utilizzato prima di lui da chi dichiarava di ammirare, Fidel Castro. La ricchezza petrolifera consentiva a Chavez, molto più che ai suoi amici nella regione, di finanziare programmi sociali, di dare ingenti sussidi per case, cibo, beni essenziali, assistenza medica, redistribuzione di terre, nazionalizzando il settore petrolifero e altri comparti produttivi, per gestirli direttamente, al servizio del “Chavismo” e di un capillare clientelismo politico. Chavez rafforzava il proprio potere attraverso uno straordinario sforzo nel promuovere la partecipazione politica: in 14 anni Chavez ha indetto 14 elezioni e referendum, con l’obiettivo non tanto di consolidare la democrazia rappresentativa, quanto invece di minarne le istituzioni e lo Stato di Diritto, come dimostrano altri esempi storici di aggregazione del consenso attraverso il culto della personalità, il controllo dell’informazione, dell’economia, il clientelismo e la corruzione.
Chavez ha riscritto la Costituzione venezuelana, ha rafforzato enormemente il potere esecutivo a spese del legislativo, ha minato l’indipendenza e l’imparzialità del Consiglio Elettorale Nazionale, ha riempito la corte suprema di personalità a lui fedeli, ha politicizzato interamente la burocrazia. Inoltre, sono stati lui e il suo successore Maduro a ridimensionare l’autonomia delle forze armate rimpiazzando gli ufficiali più indipendenti con loro fedelissimi. Come conseguenza di queste politiche, le Forze Armate, pur dovendo essere apolitiche secondo il dettato della Costituzione, sono progressivamente entrate sempre più nell’orbita del Chavismo, anche se possono rappresentare un’ipotesi concreta, anche se estrema, per un’uscita dalla crisi.
Maduro ha fatto di tutto per coinvolgere sempre più i militari nel sistema di potere. Undici dei ventitrè Ministri sono ex ufficiali, così come ventitrè Governatori degli Stati venezuelani. In un colpo solo Maduro ha promosso, l’anno scorso, 195 generali, nel pieno della crisi economica. Così il Venezuela ha oggi più di duemila Generali, più del doppio degli Stati Uniti che ne contano non più di novecento. Tuttavia, il “top brass” militare venezuelano non sembra costituire una compagine monolitica. Vi sarebbero diverse fazioni, gli “originals” che avevano sostenuto Chavez nel ‘92, con parte di loro coinvolta – sembra – nel sostegno a bande di narcotrafficanti alla quali assicurerebbero l’uso di porti e aeroporti. Un’altra componente di alti ufficiali “opportunisti” sarebbe implicata- secondo la stampa internazionale più accreditata- in affari di diversa natura. Ma si tratta di divisioni interne che contano meno dell’interesse condiviso dalle gerarchie militari a garantire la sopravvivenza di un sistema di cui beneficiano ampiamente. Sono le Forze armate a usare doppi regimi di cambio, a profittare della distribuzione alimentare e dei medicinali. La disaffezione che serpeggia tra la truppa, e l’irritazione per i privilegi degli ufficiali, viene mitigata da vantaggi evidenti rispetto alla povertà della popolazione: soprattutto per gli alloggi, i proventi del contrabbando e della corruzione di cui comunque beneficiano anche i soldati. Ciononostante, vi sono voci di denuncia che si sono coraggiosamente levate. Raul Baudel, ex Ministro della Difesa incarcerato dal regime, è diventato un’icona del dissenso, quando è riuscito a diffondere un breve video con cui condanna “profittatori e criminali che danno a voi militari gli ordini”. Per il momento, il malcontento diffuso tra la truppa non ha ancora generato sedizioni. Anzi, Maduro ha detto di voler rafforzare e ampliare una “milizia nazionale” di mezzo milione di uomini. Il che dà anche la misura della militarizzazione verso la quale il regime sta indirizzando il Paese. In questo quadro, è da tener presente che il Chavismo ha, sin dall’inizio, e in modo sistematico, smantellato quella che un tempo era l’informazione indipendente in Venezuela, revocando licenze e obbligando gli editori non favorevoli al regime a vendere.
Il “Chavismo” non costituisce certo un caso isolato nell’involuzione dello Stato di Diritto, e dei disastri che ciò comporta, in America Latina e altrove. Ne è tuttavia la manifestazione estremamente attuale, drammatica per il popolo venezuelano, pericolosa per il suo “ spill – over” sui Paesi vicini e sulla stabilità regionale.
- Il riflusso delle libertà.
Nell’ultimo anno si è avuto un declino dei diritti politici e delle libertà civili in 67 Paesi, mentre in 36 vi sono stati miglioramenti. Solo il 39% della popolazione mondiale vive oggi in Paesi che si possono definire liberi, rispetto al 46% di dieci anni fa.
In diverse democrazie l’opacità dell’azione di Governo favorisce la corruzione, l’impunità, la discriminazione tra i pochi al potere e la massa dei cittadini. Dal 2012 a oggi sono state proposte o messe in atto più di 90 leggi che limitano libertà fondamentali, di associazione e di riunione. Gli Stati autocratici, le teocrazie, i regimi dittatoriali non hanno alcuno scrupolo nel reprimere, torturare, impiccare, effettuare pulizie etniche. Per questi regimi non c’è neanche il fastidio di dover ascoltare dai Governi occidentali, dall’Unione Europea un blando richiamo per le loro violazioni gravissime ai Trattati e alle Convenzioni internazionali.
Si trascura troppo spesso, nei comportamenti concreti dei Governi europei, che l’affermazione dello Stato di Diritto, radicato in un contesto di legalità, di trasparenza e di accountability, deve costituire sempre un aspetto fondamentale anche nelle politiche di sviluppo. Si tratta di un principio espresso in forma inequivoca nell’intero Sistema Onu, oltre ad esserlo in misura eminente nel Trattato di Lisbona. L’azione esterna dell’Unione e degli Stati Membri poggia appunto su tali basi. Si tratta di promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficienti, responsabili e inclusivi a tutti i livelli.
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e i 17 Obiettivi delle Nazioni Unite, condivisi nella loro interezza dall’Unione Europea e dai singoli Stati membri, pongono opportuna enfasi sullo Stato di Diritto. Particolare preoccupazione riguarda, tanto a livello globale, quanto in America Latina e soprattutto in Venezuela, la libertà di stampa.
Nel corso del 2016 la libertà di stampa nel mondo ha toccato il suo punto più basso degli ultimi 13 anni. Il Rapporto che Freedom House riserva ogni anno alla questione segnala minacce senza precedenti ai giornalisti e ai networks anche nelle grandi democrazie. “Alcuni Leader e forze politiche in diversi Paesi democratici, inclusi Stati Uniti, Polonia, Filippine e Sud Africa – ha dichiarato Freedom House – hanno messo sotto attacco la credibilità dei media indipendenti e di un giornalismo basato sui fatti- “fact- based”- rifiutando il tradizionale ruolo di “guardiano” che la stampa deve avere nella società libere. Questi attacchi a un giornalismo basato sui fatti mettono a rischio la libertà di informazione nel mondo. Quando alcuni politici aggrediscono i media, incoraggiano altri politici a fare lo stesso… e minano il modello di una democrazia basata sulla libertà di stampa… La Russia di Putin- affermano ancora fonti di Freedom House- è un precursore nella globalizzazione della propaganda di Stato, ha manipolato notizie, e contenuti dei social media in Eurasia e in Europa Orientale…vediamo ora questa manipolazione espandersi nell’Europa Occidentale e negli Stati Uniti”.
Alcuni dei più marcati arretramenti hanno avuto luogo, sempre secondo Freedom House, in Venezuela, Polonia, Turchia e Ungheria.
Segnali positivi provengono invece da Paesi come l’Afghanistan, l’Argentina, Panama, e Sri Lanka, dove si sono notati sforzi dei nuovi Governi a migliorare il clima complessivo della libertà di stampa.
Nell’insieme, solo il 13% della popolazione mondiale gode dell’effettiva libertà di stampa, definita come un ambiente nel quale la copertura dell’informazione politica è diffusa e robusta, la sicurezza dei giornalisti garantita, l’intrusione dello Stato nelle decisioni e nella governance editoriale minima, e non vi sono onerosi condizionamenti legali o economici.
Il 42% della popolazione mondiale vive in Paesi dove la stampa è solo parzialmente libera. Il 45% in Paesi dove non c’è libertà di stampa.
Se la libertà di informazione nel mondo non può certo essere isolata da tutti gli altri diritti civili e politici universalmente riconosciuti, quali principi fondanti dello Stato di Diritto, poche altre “libertà” sono un indicatore preciso quanto la libertà di stampa. Un’analisi empirica, a livello globale, conferma che i condizionamenti e le limitazioni a tale libertà sono sempre un affidabile “early warning” per la salute dello Stato di Diritto. Le tendenze evidenziate nel 2016 e nel precedente decennio hanno ristretto la mappa delle democrazie compiute. La libertà d’informazione manifesta arretramenti insieme a due altre libertà particolarmente rilevanti per la “tenuta” dello Stato di Diritto: la “Libertà di religione e di pensiero – FORB”; i diritti “LGBT”. Su queste tre direttrici si gioca il consolidamento, o l’involuzione, di ogni moderno Stato di Diritto.
- Le nostre responsabilità verso il Venezuela e i nostri concittadini.
Il caso Venezuela, con i suoi effetti estremamente negativi sul piano regionale sottolineati dall’ Organizzazione degli Stati americani – OSA- merita di essere ben compreso, perché le politiche poste in essere dall’Unione Europea, e dal nostro Paese, appaiono deboli e insufficienti. E’ invece un preciso dovere della comunità internazionale, e di Paesi, come l’Italia, che hanno con i Venezuela e l’America Latina legami e interessi nazionali irrinunciabili, in primis la tutela dei nostri concittadini, di sostenere attivamente lo Stato di Diritto nel Paese, con un deciso appoggio alle forze dell’opposizione democratica.
Le testimonianze qui rese, oggi, hanno quindi un valore concreto. Abbiamo la responsabilità di essere solidali, non con pronunciamenti declaratori, ma con iniziative politiche che intendiamo intraprendere.
Nelle statistiche internazionali il Venezuela non è più considerato un Paese parzialmente libero, ma un “Paese non libero”. Il rispetto dei diritti politici è ulteriormente precipitato nel corso dell’ultimo anno. Il Governo Maduro ha fatto di tutto per politicizzare ulteriormente l’ordinamento giudiziario, svuotare le prerogative di un Parlamento controllato dall’opposizione, ha contrastato l’attività legislativa in ogni possibile modo, attraverso una giustizia teleguidata dal potere esecutivo, ha usurpato le competenze del Parlamento nell’approvare il Bilancio dello stato, ha bloccato ogni tentativo parlamentare di affrontare la crisi economica e umanitaria del Paese. Se dal 1999 il movimento lanciato da Hugo Chavez aveva contribuito al deterioramento delle istituzioni democratiche, la crisi della democrazia venezuelana si è fortemente accelerata negli ultimi anni, a causa della concentrazione dei poteri in capo al Presidente Maduro e ai suoi, e della sempre più dura repressione contro l’opposizione.
La corruzione nel Governo è sempre più pervasiva, mentre criminalità e omicidi sono in forte aumento. Nelle statistiche del “orruption perception index”, la lista della corruzione percepita a livello mondiale, il Venezuela si trova al 166° posto su un totale di 176 Paesi, di gran lunga il peggior dato in tutta l’America Latina, e decine di posizioni al disotto di Paesi come Nicaragua, Bolivia, Ecuador che pure condividono il non ambito primato del gruppo antioccidentale “Alba” nel non – rispetto dello Stato di Diritto e nella lotta alla corruzione. In tale quadro, le Autorità hanno continuato a comprimere le libertà civili e a far processare gli oppositori. Una grave, ulteriore spiralizzazione è avvenuta con la militarizzazione dell’ordine pubblico, la repressione ad opera delle Forze armate, e l’utilizzo delle corti militari per processare i manifestanti.
- La prima delle priorità riguarda la sicurezza e le condizioni di vita quotidiana dei nostri connazionali in Venezuela.
La settimana scorsa sono state presentate al Governo interrogazioni parlamentari alle quali il Sottosegretario Della Vedova ha risposto. Questi i temi affrontati in sede parlamentare:
- il Governo ha decretato che i dipendenti pubblici del Paese sudamericano lavorino solo due giorni alla settimana per risparmiare energia elettrica; programmati anche blackout di quattro ore al giorno nei dieci Stati più popolati e industrializzati dei 24 che formano il Venezuela; le interruzioni hanno suscitato forti proteste con atti di vandalismo e durissima repressione della polizia, aggravando la già profonda crisi politica ed economica;
- la siccità è la peggiore in duecento anni di storia e sta mettendo in crisi centrali idroelettriche costruite negli anni ’60 e ’70 che coprono due terzi del consumo elettrico interno. La pessima gestione delle infrastrutture, aggravata da corruzione e clientelismo, si ripercuote sulla fornitura dei servizi essenziali per la popolazione;
- la povertà è tornata a crescere e la spesa sociale si è contratta a causa del basso prezzo del petrolio e della diminuzione di capacità estrattiva dovuta alla pessima gestione dell’impresa pubblica;
- la comunità italiana in Venezuela è tra le più numerose. Negli anni ’80 si contavano circa 400 mila italiani di prima e seconda generazione; imprese, attività economiche e commerciali hanno sempre distinto il dinamismo della comunità italiana nel Paese venezuelano;
- negli ultimi anni la presenza degli italiani si è contratta a causa delle nazionalizzazioni e delle politiche illiberali del Governo. Molti sono rientrati in Italia, non senza difficoltà; le tensioni sociali sono altissime.
La risposta del sottosegretario Della Vedova agli interroganti è stata in questi termini:
il Venezuela sta attraversando una delle fasi più critiche della sua storia, che si sta ripercuotendo anche sulla numerosa comunità italiana residente nel Paese, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate.
- La Farnesina sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione della situazione. La nostra Ambasciata a Caracas ha, innanzitutto, provveduto a rafforzare il coordinamento con la rete degli uffici consolari presenti nel Paese, con i consoli onorari e con le istanze rappresentative della nostra comunità: i Comites, il Cgie, le associazioni, le istituzioni culturali e le imprese, rendendo più rapida la comunicazione con i nostri connazionali e creare le condizioni per interventi tempestivi a loro tutela.
Sulle questioni legate alla sicurezza, l’Ambasciata si avvale di un esperto che si occupa delle denunce di violenze o minacce da parte dei connazionali, oltre che di eventuali casi di sequestri. La sicurezza viene, poi, posta sistematicamente all’ordine del giorno degli incontri con gli esponenti di Governo di Caracas, alla luce del continuo innalzamento della criminalità nel Paese.
Per quanto concerne la grave penuria di medicinali, l’Ambasciatore ha rappresentato al Ministro degli esteri venezuelano, Delcy Rodríguez, la forte preoccupazione del Governo italiano e ha proposto delle modalità operative per far pervenire dall’Italia una lista di medicinali essenziali ai nostri connazionali, in particolare agli anziani.
- Il Ministro Rodríguez ha, tuttavia, negato che nel Paese vi sia un’emergenza sanitaria e ha aggiunto che, in caso di necessità, il Governo venezuelano potrebbe eventualmente chiedere ad alcuni organismi internazionali, come la FAO o l’OMS, la fornitura dei farmaci mancanti. Attraverso queste organizzazioni, l’Italia potrebbe eventualmente prestare il proprio contributo.
- Particolare attenzione viene, inoltre, riservata dalla Farnesina alla situazione dei pensionati italiani nel Paese, che rappresentano una delle categorie sociali più vulnerabili. Alla luce delle specifiche richieste pervenute dalla comunità italiana, la Farnesina è in costante contatto con l’INPS e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per vagliare la possibilità di riconsiderare il tasso di cambio attualmente utilizzato per le pensioni agli italiani.
- Quanto dichiarato dal Governo suggerisce alcune constatazioni.
Di positivo c’è l’attenzione della Farnesina, la piena consapevolezza dell’ampiezza, pericolosità, e natura della crisi in atto, e delle conseguenze che essa determina per i nostri connazionali, in primo luogo, oltre che per gli effetti negativi sulla stabilità continentale. Le nostre Comunità dispongono di organismi rappresentativi, associazioni, consuetudini aggregative per “lavorare insieme” alla rete diplomatico consolare. In momenti difficili come questo si tratta di una grande risorsa, come sono sempre una grandissima risorsa le Comunità italiane all’estero, per loro stesse, e per l’Italia.
Di meno positivo, anzi di preoccupante nelle dichiarazioni del Governo, è l’assenza di una necessaria strategia politico-diplomatica per portare il Venezuela fuori da questa pericolosissima crisi. Sorprende che dopo una corretta analisi delle cause, fatta dal Governo, sia poi completamente assente nelle dichiarazioni al Parlamento la “visione politica” di un Paese come il nostro, che ha sempre potuto esercitare un’influenza positiva, amichevole e apprezzata in molte altre crisi che hanno toccato negli ultimi quarant’anni l’America Latina. Senza una nostra incisiva azione regionale- in ambito OSA- ,bilaterale tra l’UE, gli Stati del Gruppo Alba, e del Caricom, l’emergenza umanitaria continuerà ad aggravarsi e il regime Chavista a trincerarsi nella difesa a oltranza del proprio potere, militare e economico, dopo aver dichiarato “guerra” a tutte le opposizioni, e aver dimostrato di voler “fare la guerra” con tutti i mezzi. Se teniamo veramente alla condizione dei nostri connazionali dobbiamo essere attivi nel determinare una soluzione politica, sostenuta e guidata – come avvenuto in altre drammatiche esperienze Latinoamericane – dai Paesi della regione, dalle sue istituzioni e organizzazioni che vantano una esperienza straordinaria di “gestione delle crisi”, di promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Ci deve essere un’azione italiana incisiva, per smuovere, sulla questione Venezuelana, il torpore della Commissione, del SEAE (Servizio Europeo per l’Azione Esterna), del Parlamento Europeo.
Dopo 38 vittime, centinaia di arresti, sovvertimenti costituzionali e abusi di ogni tipo contro la legalità e lo Stato di Diritto, il Consiglio Europeo di lunedì 15 Maggio ha adottato le seguenti conclusioni:
- l’Unione Europea ricorda le conclusioni del Consiglio del 18 luglio 2016, che sostengono pienamente gli sforzi compiuti in Venezuela per favorire quanto prima un dialogo costruttivo ed efficace tra il Governo e la maggioranza parlamentare che crei le condizioni per soluzioni pacifiche alle sfide multidimensionali cui il paese è confrontato.
- Nei 10 mesi trascorsi, gli sforzi di mediazione non hanno dato i risultati auspicati e il processo ristagna. Nel frattempo, la polarizzazione politica è aumentata, la situazione economica e sociale si è ulteriormente deteriorata e vi è stato un aggravarsi delle violenze che ha provocato numerose vittime e feriti. Tutti gli atti di violenza devono essere oggetto di indagini.
- La violenza e l’uso della forza non risolveranno la crisi nel paese. I diritti fondamentali del popolo venezuelano devono essere rispettati, compreso il diritto di manifestare pacificamente. È fondamentale che tutte le parti si astengano da atti di violenza. A tale riguardo, l’annuncio di ampliare e rafforzare ulteriormente i gruppi civili armati è preoccupante, in quanto può alimentare ulteriori episodi di violenza e non contribuisce a una soluzione. L’UE rammenta inoltre che il ricorso ai tribunali militari per processare i civili è contrario al diritto internazionale.
- L’Unione Europea si attende che tutti gli attori politici e le istituzioni del Venezuela lavorino in modo costruttivo a una soluzione alla crisi nel paese, nel pieno rispetto dello Stato di Diritto e dei diritti umani, delle istituzioni democratiche e della separazione dei poteri, che consenta di stabilire un calendario elettorale affinché il popolo venezuelano possa esprimere la propria volontà in modo democratico. Anche il rilascio degli oppositori politici incarcerati e il rispetto dei diritti costituzionali di tutti gli attori politici di voto e partecipazione alle elezioni sono passi fondamentali per creare un clima di fiducia e aiutare il paese a ritrovare la stabilità politica.
- L’Unione Europea incoraggia vivamente a facilitare la cooperazione esterna per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione. L’Unione Europea è pienamente impegnata ad aiutare il popolo venezuelano a trovare soluzioni pacifiche e democratiche ed è pronta a utilizzare tutti gli strumenti possibili a sua disposizione per sostenere gli sforzi regionali e internazionali a tal fine.
- Il Venezuela è un paese che conta più di 600.000 cittadini europei che risentono negativamente dell’attuale situazione la cui sicurezza e il cui benessere sono fonte di preoccupazione per l’UE. A questo proposito, l’UE ribadisce la propria disponibilità a cooperare con le Autorità venezuelane al fine di assicurare assistenza, protezione e sicurezza a tutti i cittadini europei in Venezuela.
- L’ambito nel quale l’Italia deve agire – contribuendo a un vero e proprio “action plan europeo”- è quello delineato, ma ancora non tradotto in azioni incisive, dal Consiglio Europeo: L’Unione Europea è pienamente impegnata ad aiutare il popolo venezuelano a trovare soluzioni pacifiche e democratiche ed è pronta a utilizzare tutti gli strumenti possibili a sua disposizione per sostenere gli sforzi regionali e internazionali a tal fine.
Queste buone intenzioni devono tradursi con massima urgenza in fatti concreti. Il principale terreno d’azione deve essere regionale.
Il 3 Aprile scorso l’Organizzazione degli Stati Americani – OSA – ha approvato a maggioranza una dichiarazione che condanna “la seria alterazione costituzionale dell’ordine democratico in Venezuela”, e chiede al Presidente Maduro di “ripristinare la piena autorità dell’Assemblea Nazionale”.
Si tratta della posizione più determinata espressa sinora dall’OSA nei confronti del Governo Maduro. Essa prevede di intraprendere tutte le necessarie azioni diplomatiche che dovessero rendersi necessarie a normalizzare e ripristinare pienamente le istituzioni democratiche venezuelane. A Caracas si chiede di agire entro i prossimi giorni per garantire la separazione e l’indipendenza dei poteri costituzionali, e ripristinare la piena autorità dell’Assemblea Nazionale. Com’era da attendersi, la risoluzione è stata contestata da Venezuela, Bolivia e Nicaragua, che hanno lasciato la sala , mentre altri quattro Paesi si sono astenuti.
La risoluzione ha ottenuto 17 voti su 21 presenti e votanti, dimostrando l’esistenza di un’assai ampia maggioranza continentale decisa a far rispettare i principi fondamentali dello Stato di Diritto, e i diritti politici nella questione venezuelana. La preoccupazione diffusa tra i Governi e le opinioni pubbliche latinoamericane è che Maduro voglia compiere altri passi verso la riedizione in Venezuela di un regime dittatoriale e autocratico ispirato al castrismo cubano, di cui peraltro Hugo Chavez era fervente ammiratore. Ma il Venezuela, diversamente da Cuba ha una radicata cultura democratica, e non ne ha certo le caratteristiche insulari .
La crisi ha assunto, inoltre, le proporzioni di una crisi regionale, con flussi di rifugiati verso la Colombia e il Brasile, riattivazione della tensione alla frontiera tra Venezuela e Colombia dove le operazioni dei narcoterroristi delle FARC, favorite da ambienti chavisti, causano da anni frizioni , scontri, e crescente instabilità. Inoltre, l’America Latina non può accettare facilmente il risorgere di un’altra brutale dittatura nel continente. Un raggruppamento importante di quattordici Paesi, che riunisce le tre maggiori “potenze regionali” – Brasile, Argentina, Messico – ha formalmente richiesto al regime venezuelano tre passi: un calendario impegnativo per nuove elezioni; il riconoscimento del Parlamento e delle sue prerogative; la liberazione di tutti i prigionieri politici.
L’attività diplomatica vede l’Argentina in posizione privilegiata, avendo appena assunto la presidenza dell’Unasur, l’organizzazione regionale di dodici Paesi legati da comuni obiettivi di cooperazione politica e di sviluppo. Si cerca di creare un Gruppo ad hoc di paesi “like minded”, come avvenuto nei negoziati che hanno concluso le guerre civili in Centro America negli anni ’80, con il coinvolgimento delle Nazioni Unite.
L’Italia può fare tutto tranne che stare a guardare. Siamo sino alla fine di quest’anno membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove esistono tutte le premesse per sostenere, con i nostri partners europei e latino americani in Consiglio di Sicurezza, un’azione di sostegno alle iniziative che si stanno rapidamente sviluppando sia all’OSA che in altri contesti regionali. La nostra Presidenza del G7 di Taormina rappresenta un’altra occasione unica per portare il caso venezuelano, così grave per lo sviluppo e la stabilità di un’intera regione latinoamericana, alla ribalta del G7. I nostri interessi nazionali nella questione, in primis la tutela e il benessere dei nostri concittadini, impongono al Governo Gentiloni di avere una visione strategica sulla questione venezuelana, e di agire per attuarla.