“Violent extremism, Hate speeches. Nuove forme di antisemitismo”

Martedì, 28 Novembre 2017

Centro Studi Americani

 

  1. I) Vorrei inquadrare le mie osservazioni nel quadro delle definizione che da al tema che oggi discutiamo l’Osservatorio Antisemitismodel Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, fondato a Milano nel 1975 con il nome di Archivio del pregiudizio antiebraico. Ricordo alcuni punti fermi:

– Negazionismo. Nel secondo dopoguerra, ai margini della storiografia accademica, emerge il tentativo di alcuni di negare in parte o totalmente lo sterminio.

– Antiebraismo politico-religioso islamico. L’ostilità antiebraica nella primitiva comunità islamica (hummāh) si sviluppa per motivi politico-religiosi. L’islam non cerca nella Bibbia ebraica il contesto in cui inserire il suo nuovo e definitivo messaggio divino come fa il cristianesimo. Le relazioni fra musulmani e “infedeli” si pongono in un quadro di “guerra”. L’antiebraismo islamico, fin dai tempi di Maometto, è centrato sulla certezza che gli ebrei sono per natura infidi e traditori. Nella cultura islamica successiva, in particolare nel pensiero politico (mai disgiunto da quello religioso), gran parte delle crisi che colpiscono la società musulmana sono spiegate con lo stereotipo dell’”ebreo” che complotterebbe per minare la compattezza della comunità musulmana.

A partire dalla metà degli anni settanta del Novecento si assiste al graduale risveglio dell’islam, le cui frange più intolleranti diventano l’antidoto alle crescenti frustrazioni del mondo musulmano. I fedeli più radicali considerano la modernità e la cultura secolare inconciliabili con l’integrità morale e spirituale di un buon musulmano.

– Il terrorismo antiebraico è spesso accolto con indifferenza dall’opinione pubblica. L’interminabile catena di sanguinosi atti antisemiti compiuti nel mondo da attentatori di varie nazionalità, sostenitori della causa palestinese, è spesso indicata acriticamente all’opinione dai mezzi di informazione come un triste rimando della politica repressiva israeliana. Le interpretazioni del Corano e dei detti (adit) del profeta sono monopolio, quasi ovunque (Europa compresa), di predicatori estremisti i quali diffondono una teologia dell’odio nei confronti dei non musulmani. L’Iran e Hamas operano per la distruzione di Israele. L’Iran fornisce armi, soldi e addestramento militare agli Hezbollah libanesi affinché mantengano uno stato di paura e di tensione fra gli israeliani. Hamas fa lo stesso con attacchi terroristici suicidi e il lancio di missili.

– Boicottaggi accademici antisraeliani. Nell’ultimo decennio, in alcune Università italiane, sono avvenute manifestazioni contro Israele, si è proposto il boicottaggio delle sue Università, il rifiuto di scambi culturali, di pubblicare studi e ricerche.

  1. II) Sempre sul piano delle definizioni, mi sembra significativo che una enciclopedia online come Wikipedia colleghi il fondamentalismo islamico “alla nascita della Repubblica Islamica nell’Iransciita”, e cioè in “quella corrente di attivismo teoretico e politico conservatore che propugna un ritorno ai «fondamenti» dell’Islamdelle origini, ritenuti autentici e infallibili.
  • Se l’antisemitismo si può definire nuovo per le forme e i contesti nei quali si sta sempre più manifestando – con un aumento della sua diffusione in Europa rilevato da molti sondaggi – e se queste nuove forme di antisemitismo riguardano una pluralità di settori politici e culturali delle società organizzate in democrazie liberali, credo sia difficile non constatare come il principale ambito di osservazione debba essere quello delle Comunità musulmane residenti nei Paesi europei, e in particolare dei Centri di predicazione e di culto appartenenti da un lato al mondo Sunnita di osservanza Salafita, e dall’altro al mondo Sciita.

In un’importante ricerca sui processi di radicalizzazione nelle Comunità musulmane in Italia, si constatano tendenze che preoccupano. Se nella maggior parte dei casi l’espressione di convincimenti radicali rimane a livello retorico, in molti casi, si nota una crescente contraddizione con i principi di fondo della nostra società, con le prospettive di integrazione e di pacifica coesistenza. Sono non pochi gli Imam e le Autorità religiose che continuano a predicare contro valori e principi occidentali , che promuovono l’intolleranza e in taluni casi la violenza e il terrorismo. Per anni in Italia Moschee e centri culturali sono stati impegnati nell’attività di proselitismo, di reclutamento e di finanziamento del terrorismo islamico, e per anni dall’Italia sono partiti Jihadisti per la Siria. Le motivazioni antisemite sono state sempre evidenti non soltanto tra i predicatori e le organizzazioni di matrice Sunnita. Cinque delle sei principali Organizzazioni Sciite esistenti in Italia, dimostrano una loro chiara ideologia antisemita, e sono attive nella propaganda e istigazione contro l’esistenza stessa di Israele. Basti citare, tra le altre, l’Associazione Assadakah: essa mantiene stretti rapporti con l’ala militare di Hezbollah, ufficialmente inserita tra le organizzazioni terroristiche sanzionate dall’Unione Europea e da molti altri Paesi. L’attività terroristica a livello internazionale di tale organizzazione costituisce uno dei motivi dell’inserimento dell’Iran nella lista dei “principali paesi sostenitori e promotori di attività terroristiche a livello globale” pubblicata dal Dipartimento di Stato.

Il sito web di Assadakah – un’associazione che evidentemente dispone di notevoli risorse finanziarie e che organizza convegni ai quali partecipano personalità politiche anche di partiti di Governo – riporta tra le molte altre iniziative filo-iraniane l’Onorificenza ottenuta da Hezbollah, in riconoscimento dei meriti acquisiti nel propagandare in Italia le tesi del fondamentalismo Sciita, nonché l’intervista avuta con un comandante militare Hezbollah: nonostante l’ala militare di tale organizzazione sia nella lista delle organizzazioni terroristiche. Recentemente il Segretario Generale di tale associazione, Raimondo Schiavone – che tra l’altro compare nello stesso sito di Assadakah insieme all’esponente Hezbollah Ali Daghmoush , inserito nel gennaio 2017 dagli Usa nella lista dei terroristi –  è stato rinviato a giudizio per aver diffamato e diffuso in rete, in un periodo particolarmente sanguinoso del conflitto siriano, frasi di incitamento all’odio nei confronti del Ministro degli Esteri italiano, accusato sempre sul sito di Assadakah di sostenere i terroristi dello Stato islamico.

E’ forse Assadakah un caso isolato? Certamente no, se  leggiamo la locandina di una manifestazione che si terrà sabato 2 dicembre a Roma. Il manifesto in cui si pubblicizza la presenza di Leila Khaled, il primo terrorista donna a partecipare a un dirottamento aereo da parte del terrorismo palestinese.

L’odio per Israele abbraccia anche organizzazioni politiche e gruppi che hanno eletto la democrazia israeliana a bersaglio di ogni invettiva, non molto lontana dagli stilemi del più vieto antisemitismo, ed è ingiustificabile l’accondiscendenza delle istituzioni.

Torna d’attualità il monito del compianto Rabbino, Prof. Giuseppe Laras subito dopo l’ennesimo attacco del terrorismo islamico all’Europa. Laras scriveva su Il Corriere della Sera nel luglio 2016: “Drammaticamente è accaduto di nuovo, con profanazione idolatrica di vite, con strage di corpi, con terrore e in mondovisione. Non è la prima volta e neppure l’ultima, siamo solo agli inizi. Non è nemmeno nuova l’idea di lanciarsi con mezzi motorizzati, contro la popolazione inerme.

Non è nuova neppure l’impreparazione di politici, critici televisivi e intellettuali, anche blasonati, a decifrare i fatti. Continua la politica suicida e ostinatamente ideologica per cui l’Islam non c’entra nulla. Persiste anche l’attenuante del disagio delle periferie, della drammaticità dell’emigrazione, della mancata integrazione e così via. Si rivisita la storia con paragoni alla Shoah per l’emigrazione islamica incontrollata in Italia e in Europa. Gli ebrei però non fuggivano dai loro correligionari, queste persone sì; gli ebrei non hanno ucciso in massa o fatto stragi di civili tedeschi, austriaci, italiani o ungheresi nel corso della Seconda guerra mondiale, gli attentatori invece sì, e peraltro non mi risulta che ora ci siano in Europa nazisti o fascisti ai governi. Vi è poi il paragone più che improprio con l’emigrazione italiana in America nel ‘900: gli italiani, disagiati e poveri, non compivano queste oscenità e i terroristi islamici con i loro crimini non sono accostabili ai mafiosi italoamericani. L’Italia da cui emigravano gli italiani, infine, era un Paese povero: molti Paesi islamici sono invece Stati ricchissimi. Molti di questi stessi Paesi, che foraggiano il terrorismo, investono in Europa, condizionando l’economia e dunque, specie in tempi di crisi come i nostri, le scelte politiche e persino valoriali (si pensi alle statue velate per non turbare la sensibilità di un politico iraniano, talmente morale da pubblicamente uccidere le persone omosessuali, negare i diritti civili, voler distruggere i milioni di ebrei che vivono in Israele e altre amenità). Tutto questo, che pure è vero, non rende però veritiera l’equazione falsa e razzista che tutti gli immigrati musulmani siano terroristi o potenzialmente tali.

Vi è poi il fatto catastrofico di una classe dirigente non educata all’impegno e alla fatica, inclusa quella del pensiero e della strategia. Questo riguarda gli intellettuali, in teoria coscienza critica, strategica e orientativa di un Paese.

Bisogna pensare al futuro e quindi anche alla massiccia crescente demografia islamica in Italia e in Europa; servono e serviranno scelte coraggiose e severe e politiche molto dure”.

 

  1. IV) Chi predica l’assenza di fenomeni di radicalizzazione su vasta scala in Italia, o sbaglia o mente. In un suo importante lavoro il Professor Lorenzo Vidino ha ricordato il numero crescente d’indagini e di arresti di jihadisti spesso nati e cresciuti nel nostro Paese. Secondo Vidino, il Jihadismo in Italia ha seguito un percorso un po’ diverso da quello degli altri Paesi dell’Europa occidentale, ma comunque l’Italia è stato uno dei primi Paesi del Continente ad essere testimone di attività jihadiste su scala relativamente ampia: negli anni ’90 i network jihadisti già presenti in Italia hanno avuto un ruolo importante nell’affermarsi della jihad globale, militanti nordafricani si sono stabiliti in diverse regioni del nostro Paese, Milano è rapidamente diventata un “hub” jihadista indiscusso, con la fondazione dell’Istituto Culturale Islamico di Viale Yenner nel 1982, ad opera dell’Organizzazione egiziana Al-Gama’a al-Islamiyya. L’Istituto Culturale Islamico ha acquisito ancora maggiore importanza per il jihadismo globale allo scoppio della Guerra Bosniaca nel ’92: non solo l’Imam di Viale Yenner Anwar Shaban era il comandante dei combattenti nel battaglione dei Mujahideen bosniaci, ma Milano era lo snodo cruciale per l’invio dei documenti, finanziamenti, sostegno logistico ai volontari che si recavano in Bosnia. L’Istituto Culturale Islamico di Viale Yenner ha continuato le sue attività negli anni ’90 e all’inizio del 2000 continuando a essere nella definizione del Dipartimento del Tesoro americano “la principale stazione di Al Qaeda in Europa”: predicatori fondamentalisti erano ospiti abituali dell’Istituto così come militanti tunisini, algerini, marocchini, con documenti contraffatti, fondi e reclute che da Milano andavano ad alimentare i gruppi jihadisti dall’Algeria al Pakistan e all’Iraq, dove diversi terroristi reclutati a Viale Yenner compivano azioni suicide. A partire dalle fine degli anni ’90, affiliati alla Moschea di Viale Yenner hanno preso possesso di locali ad uso moschee a Como, Gallarate, Varese, Cremona, e sono stati coinvolti in attività criminali, incluso il furto di armi a Torino e a Bologna. Negli ultimi anni i fenomeni di radicalizzazione tra le comunità musulmane immigrate sono ricomparsi nuovamente in misura diffusa, con numerosi arresti ed espulsioni negli ultimi cinque di immigrati marocchini, tunisini, egiziani a Brescia, Bergamo, Mantova e a Milano, e con la scoperta di jihadisti genovesi uccisi in Siria. Questi casi si situano in una tendenza al radicamento jihadista in Italia che si è affermata più lentamente che in altri Paesi europei – anche a causa di fattori demografici, dal momento che l’immigrazione su larga scala da Paesi musulmani verso l’Italia si è verificata solo a partire dalla fine degli anni ‘80 e inizio degli anni ’90, e quindi tra i venti e quarant’anni più tardi che in Francia, Germania, Gran Bretagna e Olanda.

 

  1. V) Uno studio importante effettuato da un ricercatore del Kings College di Londra, ha dimostrato che percentuali statisticamente significative di centinaia di migliaia di giovani uomini e donne che abbracciano idee radicali, sostengono la violenza, il martirio, giustificano il terrorismo, sono in altissima percentuale antisemiti e auspicano la completa distruzione di Israele. Lo studio si è basato su un sondaggio di un campione significativo dei residenti mussulmani residenti in Italia, frequentatori di Moschee, Centri culturali e di aggregazioni, per un terzo nella fascia di età tra i sedici e i trent’anni e per i due terzi tra i trenta e i sessanta, di genere per il 70% maschile, e di origine per il 42% Nord Africana, per il 7% medio-orientale, per il 31% Sub-Sahariana e per l’11% da altri Paesi europei. Il maggior numero degli intervistati aveva la cittadinanza italiana, seguiti dagli intervistati di cittadinanza marocchina, tunisina, egiziana, senegalese e bengalese, nati per circa i ¾ all’estero e residenti nell’ordine di importanza numerica, a Milano, Roma, Torino, Firenze, Napoli, Varese, Brescia, Bergamo, Venezia, Bologna, Palermo, Reggio Emilia. Il campione del sondaggio comprendeva il 38% di persone coniugate e il 57% di non coniugati, con redditi per il 48% inferiori a mille euro/mese per il 30% tra i mille e duemila euro e per il 4% superiori ai duemila euro con un livello di scolarizzazione elementare per il 5%, di scuola media del 15%, di scuola superiore per il 53% e universitaria del 26%. Quanto alla pratica religiosa gli intervistati hanno dichiarato per il 65% di frequentare assiduamente la Moschea, per il 23% di farlo solo durante le festività, di appartenere alla componente Sunnita per l’83%, a quella Sciita per il 5%. Quanto agli esiti del sondaggio circa i due terzi ha riconosciuto esservi un problema di radicalizzazione nell’Islam, ma in genere hanno mostrato di ritenerlo modesto a livello globale così come in Italia. Una percentuale minoritaria ma pur sempre significativa, superiore al 20% ha detto di ritenere giustificata la violenza indifesa dell’Islam così come la punizione per chi insulti l’Islam e il Profeta. Un’ampia maggioranza, superiore  all’80% ha detto di condividere il giudizio che “gli ebrei controllano il mondo e sono responsabili per molti dei mali dell’umanità”. La stessa percentuale condivide il giudizio che il 9 settembre sia stata una cospirazione America e Giudaica, che lo Stato di Israele non abbia diritto di esistere, che Hamas e Hezbollah non siano organizzazioni terroristiche.
  2. VI) Il contrasto alle preoccupanti e crescenti forme di antisemitismo e alla radicalizzazione avrebbe dovuto costituire negli ultimi anni, soprattutto in presenza di prove sempre più frequenti di quanto diffusi e pericolosi siano questi fenomeni nella Moschee, nelle carceri e sul web, una prioritaria e immediata azione del Governo, del Parlamento e degli organi di informazione per individuare ed adottare le misure più efficaci a prevenire e a contrastare tali fenomeni. Sul piano parlamentare alcune iniziative sono state presentate ormai da due anni e in alcuni casi sono state inspiegabilmente accantonate. Una riguarda ad esempio la proposta di legge presentata dall’On. Giorgia Meloni “per l’introduzione del reato di integralismo islamico”. “Non si tratta– aveva spiegato la leader di FdI-AN in una conferenza stampa a Montecitorio – di un reato di opinione, né di una norma che intenda minare la libertà religiosa, ma una norma che ha come finalità unica il garantire la sicurezza di chi vive in Italia”. Un’altra proposta di legge ha dovuto attendere più di un anno e mezzo per essere calendarizzata ed approvata dalla Camera dei Deputati: quella degli Onorevoli Stefano Dambruoso e Andrea Manciulli
 sulle “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista”.

Il Governo Italiano ha annunciato il 1° febbraio scorso la ‎firma di un protocollo di intenti sui rapporti tra Stato Italiano e Islam, che è stato successivamente formalizzato con otto Associazioni di Mussulmani. Un passo nella giusta direzione. Esso tende ad attuare l’art.8, c3 della Costituzione che stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le diverse confessioni religiose siano regolati da leggi basate sulle intese tra le parti. Si tratta tuttavia, ad avviso di molti, solo di un primo passo per due motivi.

Il primo perché il documento raccoglie una serie di principi importanti che riguardano soprattutto gli obblighi dello Stato per garantire e facilitare in ogni modo possibile l’esercizio del culto. Ma le intese ancora da definire dovranno necessariamente riguardare tanto i diritti riconosciuti quanto gli obblighi delle Organizzazioni firmatarie nei confronti dello Stato. In altri paesi che hanno da tempo leggi sui rapporti tra Stato e Islam, come l’Austria con l’Islamgesetz, diritti e doveri sono definiti da norme vincolanti.

Il secondo motivo riguarda le Organizzazioni che hanno firmato il documento del 1° febbraio. E’ molto importante l’equità e l’eguaglianza sostanziale tra ognuna delle Organizzazioni firmatarie. E’ evidente che se il principio della uguaglianza di trattamento, previsto dalla Costituzione, da parte dello Stato italiano deve valere ad esempio, tra le diverse confessioni come quella ebraica, cattolica, valdese e altre, la parità di trattamento deve essere assicurata anche alle diverse confessioni dell’Islam, sufi, salafita, sciita, wahabita o altre. E qui sorge la questione di fondo della Fratellanza Musulmana in Europa e in Italia, dato che alcune delle otto associazioni firmatarie del documento dell’1 Febbraio sarebbero ad essa riconducibili.

La storia dei Fratelli Musulmani è di rilevanza centrale nell’Islam contemporaneo e nell’evoluzione dell’Islam politico. ‎La loro influenza ha segnato da un secolo le vicende di tutti i paesi Arabi, e in particolare dell’Egitto. Da diversi decenni questa influenza si è molto accresciuta anche in Europa. La Fratellanza costituisce una grande forza religiosa, sociale, politica, culturale, ed economica. Da più di mezzo secolo l’organizzazione si è radicata in Europa, prima in Svizzera e in Gran Bretagna, quindi in Francia, in Italia e nel resto del continente.

Lorenzo Vidino, membro della commissione governativa che ha stilato il rapporto sul contrasto alla radicalizzazione Jihadista ‎in Italia presentato dal PdC Gentiloni in Dicembre, ha certamente contribuito al lavoro per l’intesa tra Governo e Organizzazioni Islamiche del 1° Febbraio. Vale quindi la pena di ricordare che il Prof. Vidino, è stato autore di un’importante ricerca sulla Fratellanza Musulmana in Europa pubblicata nel 2010 (The New Muslim Brotherhood in the West). Il libro evidenzia l’enorme influenza esercitata dalla prima metà del Novecento dal fondatore della Fratellanza, Hassan al Banna nel riorganizzare, modernizzare e “dare popolarità al discorso sull’Islam”. Il motto “l’Islam è la soluzione – al-Islam huwa al-hal” nasce con al Banna. Per al Banna, e per i “murshid” che gli succedono alla guida della Fratellanza, l’Islam è una dimensione spirituale, sociale e politica completa e inclusiva. Essa abbraccia tutti gli aspetti della vita privata e pubblica, della legge, dell’economia e della cultura. Al centro di questa visione sta la missione per tutti i Musulmani: “Dawa”, l’invito di Dio e il dovere individuale per ciascun Musulmano di diffondere la fede reintroducendo il “vero Islam”, lottando contro il degrado morale prodotto da mondo occidentale, condannato aspramente e stigmatizzato in ogni sua manifestazione e contenuto. La Fratellanza si concentra sin dall’inizio sul radicamento della fede nell’individuo e nella famiglia musulmana, mette l’accento sulla giustizia, sulla islamizzazione dell’intera società nella quale deve poi automaticamente diffondersi la Sharia nella sua purezza. Molto dopo al Banna, negli anni 2000 quando la Fratellanza si è ampiamente diffusa e rafforzata anche in Europa, un’altra personalità diventa un riferimento molto importante, anche se non pienamente integrato nell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, tanto da venir considerato -nella definizione del WSJ-una sorta di “Papa sunnita”: Yussuf Al Qaradawi. Laureato all’università di Al-Azhar, egli lascia negli anni ’60 l’Egitto per il Qatar, insegnando e ottenendo un grande seguito tra le élites del Golfo. Diventa popolarissimo anche tra il grande pubblico con la trasmissione settimanale di al Jazeera “Sharia and Life”. Il suo insegnamento tende sin dagli anni ’70 a cogliere l’esigenza di adattarsi alla realtà nella quale i Fratelli Musulmani operano in Occidente. Qaradawi sembra, ad esempio, privilegiare il principio del “Dawa”, il dovere di diffondere la fede nella sua purezza, su quello della Jihad quale mezzo per creare uno Stato Islamico. La popolarità di Al Qaradawi tra i Musulmani  europei va oltre la cerchia della Fratellanza.

Merita cogliere alcuni aspetti del suo insegnamento. Al Qaradawi sostiene che il principio democratico vale ma solo selettivamente, nei rigidi limiti dell’immutabilità della Legge di Dio. Il costante riferimento di Al Qaradawi ai valori di libertà, diritti umani, giustizia, equità ha fatto scrivere a studiosi dell’Islam -come John Esposito e altri- che lo Sceicco è “impegnato in una interpretazione riformatrice dell’Islam e del suo rapporto con democrazia, pluralismo e diritti umani”. In superficie, queste enunciazioni sembrerebbero compatibili con l’affermazione dei diritti universali dell’uomo e con le libertà imposte al centro delle democrazie liberali. L’analisi approfondita dimostra invece che le posizioni di Al Qaradawi e della Fratellanza sono antitetiche e incompatibili con i diritti dell’uomo e con le libertà universalmente riconosciute. Sull’omosessualità, Al Qaradawi si è ripetutamente espresso sulla necessità che quanti si macchiano di tali “pratiche depravate” devono essere puniti fisicamente e in alcuni casi con la morte,” per mantenere la purezza della società Islamica e tenerla pulita da elementi pervertiti”. In una Fatwa sulla libertà religiosa, Al Qaradawi ha definito la conversione dall’Islam a altre fedi “il più orribile intrigo dei nemici dell’Islam”, accusando “i missionari invasori” dei tentativi di conversione dei musulmani. Altre sue pronunce riguardano l’apostasia, da punire severamente e se pubblica con l’esecuzione capitale.

 

Su analoghe posizioni si trovano altre personalità centrali nel pensiero e nell’attività di proselitismo dei Fratelli Musulmani. Non è quindi sorprendente che la Fratellanza, con i suoi finanziamenti ad Hamas e il “doppio linguaggio” che le viene attribuito nella profonda diversità tra i suoi interventi televisivi, e la predicazione per gli adepti, preoccupi da tempo gli organismi di sicurezza in Europa. In Belgio, ad esempio, i rapporti della Sicurezza di Stato rivelano che “la presenza di una struttura clandestina della Fratellanza almeno da inizio anni ’80. L’identità dei suoi membri è segreta. Operano con grandissima discrezione. Cercano di diffondere la loro ideologia tra la comunità musulmana in Belgio e mirano soprattutto ai giovani di famiglie immigrate di seconda è terza generazione. Ricercano il controllo delle associazioni religiose, sportive, sociali e insistono per esser riconosciuti quali interlocutori esclusivi delle autorità nazionali ed europee nella trattazione delle questioni concernenti l’Islam”. E’ importante sottolineare che questo rapporto è stato scritto otto anni fa, prima di una massiccia ondata migratoria da paesi musulmani. Essa ha creato opportunità del tutto nuove – pensiamo ad esempio all’attrazione che esercita la Fratellanza su rifugiati siriani di ottima formazione professionale – per la diffusione dell’ideologia proposta dalla Muslim Brotherhood.

‎La ricerca di Vidino si concludeva, nel 2010  con alcune constatazioni che acquistano una nuova attualità con il dibattito in corso a Washington sulla possibile iscrizione della Fratellanza islamica tra le Organizzazioni appartenenti all’Islam radicale e fondamentalista sostenitore del terrorismo internazionale. La diversità di opinioni non è nuova e spazia dalla constatazione delle “duplicità” di dichiarazioni e comportamenti dei Fratelli musulmani, sino alla tesi che l’organizzazione sia un “pompiere” per motivi tattici, ma “incendiaria” per i suoi obiettivi strategici.

E’ vero che i membri riconoscibili della Fratellanza islamica in Occidente che si sono radicalizzati e impegnati in azioni violente sono pochi, ma è anche vero che la Fratellanza fornisce il retroterra ideologico per la radicalizzazione, creando una mentalità di assedio tra i musulmani che è l’anticamera della violenza. La narrativa della Fratellanza è basata sulla vittimizzazione dei musulmani, quale premessa alla giustificazione della violenza, anche se formalmente tale violenza viene poi condannata dai loro leaders.

L’esperienza consiglia una politica di grande cautela nei confronti di questa grande forza interna al mondo islamico e sempre più attiva anche in Europa.

Una decisione americana di considerare la Fratellanza una organizzazione sostenitrice del terrorismo internazionale avrebbe inevitabili ripercussioni per l’Unione Europea e i suoi Paesi membri. Pensiamo ad esempio alle misure di controllo sui finanziamenti e al riciclaggio con finalità terroristica. Pensiamo anche alla legittimazione di Associazioni espressione della Fratellanza o ad essa collegate, nel sottoscrivere intese con lo Stato.

Se in ogni caso il quadro di insieme non dovesse sostanzialmente mutare, è certo che le Comunità musulmane in Europa si devono sempre più confrontare con società civili, Istituzioni, leggi, tradizioni e culture basate sul pluralismo, sul dialogo, sull’uguaglianza e sul rispetto di una legalità laica quale principio essenziale di convivenza.

E’ quindi fortemente auspicabile che il nostro Paese affronti in profondità e con politiche idonee la questione del rapporto con l’Islam europeo.

 

VII) Si tratta, per l’Italia, di priorità evidenti anche per la sicurezza nazionale. E’ nostro interesse lanciare iniziative diplomatiche europee e atlantiche in questa direzione. Il mezzo milione di immigrati entrati spesso senza identificazione sul nostro territorio negli ultimi tre anni proviene in notevole percentuale da Paesi musulmani. La precarietà della loro condizione economica e psicologica li rende facili destinatari di un coinvolgimento e di un’interessata opera di assistenza da parte di moschee e centri di proselitismo Salafita e Wahabita dove gli impulsi all’estremismo e alla radicalizzazione sono all’ordine del giorno.

Nella strategia complessiva che dovremmo urgentemente avviare nei rapporti con il mondo Musulmano vi sono Paesi, Governi e realtà che operano in sostegno degli obiettivi di dialogo, tolleranza ed evoluzione culturale verso  riforme e modernità, come noi auspichiamo. Vale per tutti, oltre al significativo e esplicito discorso pronunciato ad inizio del 2015 dal Presidente Egiziano el-Sisi  all’Università Al-Azhar del Cairo in sostegno di un Islam riformato, l’azione svolta da tempo dal Re del Marocco Mohammed VI. Il 20 agosto scorso il Re, rivolgendosi alla comunità dei credenti nel suo ruolo di capo del consiglio superiore degli Ulema, ha affrontato con grande chiarezza il tema del fanatismo musulmano, dell’Africa e dei migranti. Ha condannato in modo durissimo l’assassinio di padre Harmel, dicendo: “Siamo convinti che l’assassinio di un prete è un atto illecito secondo la legge divina. La sua uccisione dentro a una Chiesa e follia imperdonabile. I terroristi che agiscono in nome dell’Islam non sono musulmani e sono condannati all’inferno per sempre”.

L’azione del Governo marocchino nel contrasto all’estremismo e nel consolidamento di una fede tollerante e moderata ha preso una dimensione rilevante dopo i gravi attentati di Casablanca nel 2003, con 45 vittime. Ogni anno Rabat forma 200 nuovi Imam e predicatori, e organizza per due giorni ogni mese seminari di aggiornamento che coinvolgono 50.000 Imam. Si tratta di un impegno sorretto da un considerevole sforzo economico. Uno sforzo rivolto anche all’estero. Nel Marzo 2015 il Re ha inaugurato l’Istituto Mohammed VI di formazione del clero musulmano. L’idea è nata anche in questo caso per rispondere alla minaccia Jihadista, originata nel 2012 in Mali. L’originario programma per la formazione di Imam di tale Paese si è rapidamente esteso ad altri paesi africani. Significativa in tale contesto la Dichiarazione promossa dalle Autorità marocchine nel gennaio 2016 a Marrakech. Essa contiene espliciti riferimenti ai principi universali già previsti dai testi sacri islamici: il rispetto della dignità umana e della libertà religiosa, il principio di giustizia e di non discriminazione, e pone come scopo comune la “piena tutela dei diritti e delle libertà di tutti i gruppi religiosi”, affermando “che è inconcepibile impiegare la religione allo scopo di aggredire i diritti di minoranze religiose nei paesi musulmani “.

Il Marocco non è il solo Paese al quale l’Italia è gli altri Paesi occidentali dovrebbero sempre più collegarsi per attività di formazione destinate a comunità emigrate in Europa da Paesi musulmani.‎ In Egitto l’Università Al-Azhar forma dal 2012 migliaia di predicatori e religiosi che operano nel Paese e all’estero. Dallo scorso anno la Francia ha programmi di formazione degli Imam con l’Egitto e con l’Algeria. Anche per noi si tratta di iniziative di estrema importanza alle quali la politica estera del nostro Paese deve dedicarsi a fondo. Ovviamente, non soltanto la politica estera. Negli ultimi due decenni il rapporto delle Istituzioni e dei Governi con la complessa e culturalmente ricca realtà dell’Islam italiano ‎è stato alto tra le priorità della politica nazionale, ma per intervalli troppo lunghi è stato relegato altrove, riemergendo nel dibattito politico soltanto quando si sono aperte emergenze migratorie, terrorismo o problemi di ordine pubblico. L’azione di politica estera deve inserirsi in una visione complessiva, nella quale scuola, educazione al dialogo e alla tolleranza, riconoscimento della identità siano al centro del rapporto con tutte le comunità musulmane nel nostro Paese. Ciò non può avvenire senza la collaborazione dei Paesi che hanno con queste comunità collegamenti importanti.

 

VIII) Il contesto geopolitico in Medio Oriente e soprattutto nell’area del Golfo, si è ulteriormente complicato negli ultimi mesi per la crisi apertasi tra Arabia Saudita e Iran, soprattutto a causa delle tendenze espansionistiche di Teheran. La desecretazione di una parte dei documenti ottenuti dall’intelligence americana in occasione del raid a Abbottabad con l’uccisione di Osama Bin Laden, dimostra inconfutabilmente i rapporti molto stretti tra Al Qaeda e l’Iran nella pianificazione e esecuzione di attentati terroristici su ampia scala contro obiettivi occidentali e contro i Paesi Arabi alleati dell’America. Se tutto questo contribuisce ad aumentare le tensioni sia a livello regionale che globale, non si può tuttavia sottovalutare anche un riflesso positivo per quanto riguarda gli orientamenti sauditi.

Il Principe ereditario sembra decisamente intenzionato a ottenere una svolta dal Clero Wahabita. Ha detto a Thomas Friedman in una importante intervista al New York Times: “Non scriva che stiamo reinterpretando l’Islam. Noi stiamo tornando all’Islam delle origini. Ripartiamo dal libro e dalle pratiche del Profeta e dalla vita quotidiana dell’Arabia Saudita prima del 1979. Il primo giudice in ambito commerciale a Medina era una donna” ricorda il principe saudita. Sulla politica estera, Mohammed Bin Salman ha idee chiare e molto dure contro l’Iran. Insiste che Saad Hariri non può continuare a fornire copertura politica per un governo in Libano che è sostanzialmente nelle mani di Hezbollah, a sua volta controllata da Teheran. Accusa l’Iran di appoggiare i ribelli Houthi in Yemen e di aver fornito quel missile che ha poi colpito l’aeroporto di Riad. Parla di Donald Trump come “la persona giusta al momento giusto”. Si scaglia contro l’Ayatollah Ali Khamenei: “È il nuovo Hitler del Medio Oriente. Ma dall’Europa abbiamo imparato che l’appeasement non funziona. Non vogliamo che il nuovo Hitler in Iran ripeta in Medio Oriente quanto accaduto in Europa”.

 

 

 

 

 

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