Intervista di Paolo Salvatore Orrù per Tiscali Notizie del 26 marzo 2014
La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò italiani “sequestrati” dalle autorità indiane sembra essere diventato un capitolo oscuro e a volte surreale di un romanzo di Franz Kafka. E il ritorno dall’India dell’inviato del governo sui marò Staffan De Mistura non ha certo migliorato la situazione: le sue dichiarazioni davanti alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato non sono piaciute a Giulio Maria Terzi, l’ex ministro degli affari Esteri del governo Monti. “Secondo De Mistura” ha detto a Tiscali Terzi “l’ordine di far scendere i fucileri di marina dalla Lexie sarebbe stato dato dalla Farnesina” che, peraltro, avrebbe, sempre secondo De Mistura, anche ordinato di non resistere. Il mio ministero, fa sapere Terzi “non ha mai impartito né l’ordine di resistere né di non resistere: non era nelle nostre funzioni istituzionali dare direttive in questo senso a militari italiani”. Per questo l’ex ministro si è riservato, una volta letti i verbali delle commissioni, ed eventualmente insieme con altri funzionari che si dovessero sentire coinvolti, “di valutare anche sul piano legale queste menzogne”.
La tesi di Giulio Terzi
“Chi autorizzò l’approdo cadde in un inganno che una volta svelato non poté più essere contrastato: sulla nave salirono almeno trenta militari delle forze speciali indiane, sarebbe stato folle opporsi con la forza”. Il ricorso all’inganno non è contemplato in nessun codice della navigazione, tuttavia non si è davvero capito perché la petroliera, manovrava in acque internazionali, abbia accettato di gettare l’ancora nel porto di Kochi. “Che fosse in acque internazionali quando ci fu la sparatoria non c’è dubbio: lo conferma la sentenza del 28 gennaio del 2012 della corte suprema indiana”, spiega Terzi.
Il giro di telefonate
Dalle ricostruzioni, si arguisce che il comandante della nave avesse accettato di cambiare rotta quando la capitaneria di porto di Bombay chiese per telefono al vice comandante della Lexie e al comando operativo interforze di approdare in India per aiutarli a riconoscere persone coinvolte nell’incidente. Dopo un giro di telefonate, qualcuno autorizzò l’inversione della rotta, “ci sono atti che lo confermano nel Ministero della Difesa”. Si pensò evidentemente non ci fossero motivi per dubitare che la richiesta fosse volta alla cattura dei pirati. Gli indiani “misero in atto a una mascalzonata: se avessero avuto dubbi sul comportamento del personale della Lexie, avrebbero dovuto chiedere all’Italia una rogatoria”.
La via del ritorno
Per riportare a casa i fucilieri di Marina sarebbe opportuno, sempre secondo l’ex Ministro, “alzare il tiro” e mettere l’India in condizione di accettare l’arbitrato internazionale. E bisogna far presto, perché “molto difficilmente” gli indiani, dopo aver portato a termine un’indagine durata due anni, “vorranno poi assolvere i nostri militari”. Servirebbe sin da subito, “un’azione visibile, energica e pressante in ambito multilaterale: lo dico da quando i nostri fucilieri sono stati rimandati in India con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti”.
Il governo sta agendo
Il governo si è attivato due settimana fa “con una nota verbale con la quale si chiede agli indiani di accettare un arbitrato internazionale”. Forse sarebbe stato opportuno tenere i nostri soldati in Italia. “Costringendo i nostri lagunari a stare in India, ci siamo posti in una posizione di svantaggio inutile e in qualche modo vergognoso”. Il tempo stringe, si deve procedere con determinazione. “Se gli indiani non rispondono alla nostra nota verbale, dobbiamo attivare la procedura per un arbitrato obbligatorio, come prevista nella convenzione del diritto del mare: consiste nella nomina da parte del Tribunale di Amburgo dell’arbitro di parte indiana, se loro non lo faranno spontaneamente nei termini”.
Non bisogna più attendere
E ora cosa si fa? “Il presidente degli Usa Barack Obama è a Roma, mi aspetto che il sequestro dei nostri militari sia posto al centro dei colloqui: il loro fermo non è solo un fatto gravissimo dal punto di vista bilaterale, potrebbe anche pregiudicare l’impianto generale delle operazioni anti pirateria e dei reparti impegnati in missioni di pace”. Gli Stati Uniti difendono da sempre questo principio di legalità internazionale, “per difenderlo hanno affrontato crisi di enormi”. E sequestrare i bastimenti che navigavano in alto mare per farli approdare in un Paese rivierasco “infrange questa libertà”, spiega Terzi.
Il Consiglio di Sicurezza Onu
L’argomento dovrebbe essere affrontato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. “L’Italia deve sollevare la questione anche in questo consesso: quest’organo ha spesso trattato, ha il dovere di farlo, il tema dell’anti pirateria”. E quindi avrebbe il diritto di valutare anche la vicenda dei marò. “Non possiamo nemmeno lasciare immaginare agli indiani che stiamo accettando il loro processo”. Dopo un anno, in Italia c’è, però ancora chi sostiene che “non si deve alzare il profilo internazionale della questione perché gli indiani se la possano prendere” conclude Terzi, ricordando che il caso è ora anche “politico”: a maggio gli indiani andranno alle urne per rinnovare il loro governo.