Nei giorni scorsi la commissione Diritti umani ha adottato una risoluzione di indirizzo al governo sul “diritto alla conoscenza”. Una mossa dettata dall’urgenza di una visione sistematica alla lotta per la libertà e per l’informazione. L’intervento dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata e Matteo Angioli, rispettivamente presidente e segretario generale del Comitato globale per lo stato di diritto “Marco Pannella”
Pubblicato su aduc.it il 25 giugno 2022
Non furono in molti, al momento dell’intervento nel 2003 contro l’Iraq di Saddam Hussein, erroneamente accusato di avere armi di distruzione di massa, a comprendere il senso dell’accorato appello lanciato da Marco Pannella per scongiurare una sanguinosa operazione militare e trovare una soluzione diversa: l’esilio di Saddam per evitare la sua impiccagione e salvare l’Iraq da una destabilizzazione utile soltanto all’Iran e al terrorismo dello Stato islamico. Una soluzione coerente con l’assoluta necessità che le opinioni pubbliche, i parlamenti e i governi venissero compiutamente informati dei motivi, dei fatti documentati, secondo meccanismi decisionali chiari, delle ragioni alla base del ricorso all’uso della forza militare.
La tesi di Pannella è stata confermata nel corso degli anni da una grande dimostrazione connessa alla centralità del “diritto di conoscere” in ogni democrazia liberale: ovvero l’Inchiesta Chilcot. Una commissione d’indagine nomina governativa che, nel Regno Unito, dal 2010 al 2016 è stata l’essenza stessa della democrazia avendo agito pubblicamente per comprendere gli errori e gli orrori commessi al fine di evitarne in futuro e ristabilire il prestigio della democrazia. Ha denunciato la mancanza di trasparenza nelle decisioni del governo Blair e quanto sia enorme il danno quando un governo democratico manipola le informazioni per fabbricare vere e proprie “fake news” ai massimi livelli.
Da quell’esperienza è scaturita l’ultima iniziativa di Pannella, quella per il riconoscimento formale del “diritto alla conoscenza”; non diritto di accesso agli atti, non un Freedom of Information Act migliore e nemmeno diritto all’informazione. Conoscenza. Da anni siamo travolti dalle informazioni. Ci raggiungono da ogni dove con i mezzi più disparati. Siamo finiti in una selva fatta di infinite informazioni prodotte da infinite fonti dove districarsi è sempre più difficile per un numero crescente di cittadini già deluso e distaccato dalla politica e dalle istituzioni. Dunque, secondo una felicissima formula che rubiamo a Ezechia Paolo Reale, presidente del consiglio scientifico del Comitato globale per lo stato di diritto “Marco Pannella, “occorre trasformare l’informazione in conoscenza”. È necessario riconoscere cioè il diritto a un giusto processo di elaborazione democratica delle informazioni che abbiamo a disposizione oggi, senza limitare la libertà di espressione e di pensiero.
La libertà di espressione deve coniugarsi con la responsabilità e la necessità di informazioni affidabili impedendo la moltiplicazione delle falsità. Il capo della propaganda nazista, Joseph Goebbels, contribuì al Terzo Reich diffondendo “la grande menzogna”. Se la libertà di espressione deve essere protetta ciò non significa che la propaganda generata da chi uccide il diritto debba prosperare in nome di questa stessa libertà. Esistono giornalisti, piattaforme e spazi che consentono a negazionisti di ripetere fatti, argomentazioni e teorie basate su menzogne conclamate o sulla negazione di fati assodati. Questo non è pluralismo. È il perseguimento di un’agenda politica antidemocratica, anti-stato di diritto e violenta che aggira il parlamento. Per arginarla non dobbiamo imporre filtri arbitrari per selezionare oratori, tempi, temi. Serve un’ecologia di strumenti che, muovendo dal dibattito parlamentare, luogo legittimo del confronto, e assieme alla deontologia professionale dei giornalisti, sia arrivi a informare e quindi formare democraticamente l’opinione pubblica.
Un primo traguardo è stato raggiunto nel giugno 2021 con una risoluzione e una raccomandazione adottata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di Strasburgo che ha riconosciuto il Diritto alla Conoscenza e descritto quali siano gli strumenti per renderlo esigibile. Lo scorso 22 giugno commissione del Senato per la tutela dei diritti umani ha recepito il testo di Strasburgo votando all’unanimità una risoluzione che va nello stesso senso. La risoluzione impegna il governo a favorire dibattiti parlamentari nei tempi e modi congrui per permettere il confronto delle argomentazioni e il controllo democratico sul governo; a investire sui luoghi del sapere (biblioteche, teatri, musei), soprattutto nelle periferie, misurando la loro presenza sul territorio nazionale; a costituire un osservatorio di monitoraggio dell’informazione dei principali canali televisivi e radiofonici e della loro interazione con le piattaforme di social media più utilizzati; a farsi promotore di iniziative in ambito Onu volte a codificare a livello universale il diritto umano alla conoscenza.
Crediamo sia un atto che va al cuore della democrazia. Quanto di più lontano possa esserci da ciò che avviene nei regimi autoritari dove censura, disinformazione, deformazione velenosa della realtà hanno segnato la storia delle dittature e delle autocrazie; in particolare nella Russia di Vladimir Putin e della Cina di Xi Jinping, sostenute da ideologie e sotterranei interessi economici dei loro portavoce in Occidente. Da anni Putin è responsabile di una gigantesca opera di disinformazione, di riscrittura e di deformazione ideologizzata della storia recente e antica, di eliminazione fisica degli oppositori politici dentro e fuori dai confini della Russia.
Quasi come nel dopoguerra, la società italiana ed europea si confronta oggi ad una scelta di campo: quella di decidere se il principio di libertà e di conoscenza debba costituire l’ancoraggio essenziale del sistema di governo, o se questo debba affidarsi ad una visione ideologica esclusiva e immutabile di una “guida” infallibile espressa da un “partito-Stato” (Partito comunista cinese, Russia Unita) o da una visione messianica (Stato islamico).
Nel 1961, il presidente Dwight Eisenhower disse che “solo una cittadinanza vigile e informata può combinare il corretto funzionamento dell’enorme apparato di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici”. Per Pannella, “dove c’è strage di diritto, c’è strage di popoli”. Ne resta di strada da fare.