Appaiono sempre più evidenti i motivi di preoccupazione per la sicurezza europea. Rapporti con la Russia, tenuta dell’Alleanza Atlantica, arretramenti nel controllo e riduzione degli armamenti convenzionali e nucleari sono lo sfondo sul quale si sviluppano minacce asimmetriche e nuove, come i legami tra radicalizzazione e terrorismo. Un ruolo estremamente negativo per la sicurezza di tutti gli europei è stato assunto dal regime teocratico iraniano. Sono miseramente naufragate le speranze che l’accordo nucleare del 2015 potesse ribaltare strategie e obiettivi della leadership iraniana. È avvenuto l’esatto contrario. Il regime si è ulteriormente trincerato nel fondamentalismo più bieco. Trovandone – credono gli Ayatollah – la fonte della propria sopravvivenza, e del proprio ulteriore arricchimento. La repressione interna è diventata sempre meno tollerabile per una popolazione di giovani, in gravi difficoltà economiche, che sono ormai in rivolta in tutto il Paese da ben quattordici mesi. Le impiccagioni pubbliche che dovrebbero intimorire gli oppositori al regime si susseguono ogni giorno, eliminando dissidenti, minori, donne incinte. Torture e massacri ad opera degli organismi di sicurezza iraniani sono prassi corrente nel Paese così come in tutti i “teatri operativi” nei quali, in misura sempre più vasta e incontrastata, si manifesta lo “spirito messianico” degli ayatollah. La distruzione di Israele è evocata costantemente e ai gradini più alti del potere. Dalla Siria, al Libano, all’Iraq allo Yemen, sino agli altri Paesi dove esistono minoranze sciite, la strategia iraniana si basa sullo smaccato sostegno al terrorismo e sulla violenza. L’aggressività del regime non è mai cessata neppure per un attimo, nei quattro decenni di Khomeinismo. Di fatto è costantemente stata il vero tratto distintivo della politica iraniana. Questo trend è in peggioramento. Teheran manifesta totale avversità e disprezzo verso le norme di diritto internazionale, le risoluzioni dell’Onu, i diritti umani, lo Stato di diritto e i principi fondanti dello Statuto delle Nazioni Unite, nonché dei Trattati dell’Unione Europea.
La politica estera e di sicurezza dell’Unione prevede – secondo quanto è ben scritto nei Trattati e in una quantità di deliberazioni dei Consigli Europei – che tutti gli Stati membri, le istituzioni europee promuovano e sostengano inderogabilmente nei rapporti con gli Stati terzi – Iran incluso – i principi sui quali l’Unione si fonda. Questo “imperativo categorico” è la più fondamentale tra le diverse “ragioni di esistere” per l’Unione. Ma esso è stato quotidianamente violato. Forse in modo ancor più sistematico di qualsiasi altro principio disatteso dall’Unione il caso iraniano rappresenta un “unicum” emblematico. Sui crimini contro l’umanità compiuti in Siria dalle forze iraniane o sostenute da Teheran, così come sulle crescenti e massicce violazioni dei diritti umani accertate dalle Nazioni Unite, sulle minacce a parole e nei fatti contro gli altri Stati della regione , la consegna degli eurocrati di Bruxelles è stata quella di un assordante silenzio. Una sorta di autocensura su qualsiasi parola potesse infastidire il regime teocratico. Il quale si è sentito non solo incoraggiato a proseguire come ha sempre fatto, ma a operare con mani ancor più libere persino in territorio europeo. Nulla sarebbe avvenuto neppure con gli almeno quattro attentati, potenzialmente devastanti, organizzati dall’intelligence iraniana nel solo 2018 per colpire in Europa dissidenti iraniani e personalità politiche loro vicine, se non vi fosse stata l’indignata e ferma reazione di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Austria, e della stessa Norvegia.
Parigi e Copenaghen hanno portato alla luce per primi questi gravissimi attacchi alla sicurezza in Europa rivelandone l’indiscutibile matrice. In particolare il tentato attacco alla Convention di decine di migliaia di dissidenti iraniani, a Villepinte, alle porte di Parigi lo scorso giugno scorso, avrebbe dovuto tradursi secondo i mandanti in un eccidio di massa: una vera ecatombe date le migliaia di persone presenti, tra le quali una delegazione di politici, amministratori locali e membri della società civile italiani. Nessuna reazione né protesta vi è mai stata da parte del governo italiano, contrariamente a quanto hanno fatto dagli altri governi europei coinvolti nella vicenda. L’Olanda ha recentemente accusato anche Teheran di aver fatto assassinare due dissidenti iraniani nel 2015 e nel 2017.
È delle ultime ore, inoltre, la decisione delle autorità tedesche di revocare il permesso di volo in Germania alla compagnia aerea iraniana “Mahan Air”, nota per l’utilizzo dei propri gli aerei nel trasporto di armi, munizioni e combattenti in Siria, e per questo motivo iscritta nella “blacklist” americana delle entità legate al terrorismo internazionale dal 2011. Altro elemento di forte preoccupazione è la minaccia “cyber” in vista delle elezioni europee del 26 maggio. Il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, John Bolton, ha manifestato serie preoccupazioni per le minacce “cyber” provenienti da Teheran. Lo scorso agosto Twitter ha cancellato 284 falsi account riconducibili all’Iran, mentre Facebook ha scoperto 76 false identità su Instagram di “botnet” per la propaganda fondamentalista originata dalla Repubblica Islamica.
La politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea nei confronti dell’Iran deve invertire drasticamente rotta. Se continua un atteggiamento irresponsabile e indifferente alla tutela della vita dei cittadini , nonostante l’evidentissima strategia iraniana di utilizzare il terrorismo in Europa , e si resta rintanati nella speranza che meno si agisce con misure di prevenzione e deterrenza più comprensivi e umani nei nostri confronti saranno i macellai al potere a Teheran, si cade nell’identico tranello che molti carnefici nella storia del secolo scorso e di questo hanno ampiamente sfruttato: in Europa e in Medio Oriente. Una nuova politica estera e di sicurezza, italiana ed europea, nei confronti dell’Iran non può essere rinviata. Una partecipazione attiva alla ministeriale di Varsavia su “Pace e Sicurezza in Medio Oriente” del prossimo febbraio, può quindi rappresentare l’occasione opportuna.