Fonte: Formiche.net
L’improvvisa e inaspettata condanna a morte in Cina del cittadino canadese Robert Lloyd Schellenberg, accusato di essere un trafficante di droga, rappresenta “una ingiusta ritorsione per l’arresto della numero due di Huawei, Meng Wanzhou“, ma soprattutto mette in mostra “un Occidente che critica giustamente le violazioni dei diritti umani in giro per il mondo, ma che troppo spesso chiude un occhio nei confronti di quelle perpetrate da Pechino”.
A crederlo è Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore in Israele e negli Stati Uniti, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché “è necessario che l’Occidente metta da parte i timori di ripercussioni economiche e sia fermo e unito nel criticare le inaccettabili minacce della Repubblica Popolare”.
Ambasciatore Terzi, la Cina ha condannato a morte un cittadino canadese, Robert Lloyd Schellenberg, accusato di essere un trafficante di droga. Come legge questa azione?
Checché ne dica Pechino, mi pare – e non solo a me, a dire il vero – una chiara e ingiusta ritorsione per il fatto che il Canada abbia fermato nel suo Paese la numero due di Huawei, Meng Wanzhou.
Che cosa glielo fa pensare?
Sembra evidente. Di colpo quindici anni di prigione si sono trasformati in una condanna a morte. Chiaro che qualcosa non vada. Senza contare la raffica di arresti consumati nel giro di poche settimane ai danni di altri cittadini canadesi. La verità è che Schellenberg, dopo la sua prima condanna, avvenuta nel 2014, è entrato a far parte senza volerlo di una guerra strategica senza precedenti. E ne ha pagato il prezzo. Eppure la cosa non mi lascia sorpreso.
Perché la decisione di Pechino non la sorprende?
Non è la prima volta che la Cina utilizza strumenti di pressione come ritorsione verso scelte economiche e politiche dell’Occidente. Se la Corea del Sud prende una decisione che disturba Pechino, improvvisamente chiudono i supermercati coreani in Cina, se la Norvegia condanna le violazioni di diritti umani o prende una posizione su questioni legate alla sicurezza del Mar della Cina, si bloccano le importazioni di salmone norvegese, se il governo tedesco sceglie di condannare un aspetto della politica cinese, ecco che rallenta l’export di automobili.
Come invertire questo trend?
Prima di Xi Jinping la Cina aveva ricominciato a prendere in considerazione l’idea di una maggior moderazione nei confronti della pena di morte. Però è sempre un’arma, ed è un’arma che la Cina sta attualmente utilizzando contro il Canada. Questi sistemi al limite di quanto comunemente accettato all’interno del sistema internazionale rappresentano non solo uno strumento di forte pressione, ma riflettono anche la debolezza dell’Occidente nel momento in cui ne dovesse accettare le conseguenze.
Sembra anzi che oggi ci sia una pressi crescente sempre più visibile di Pechino a reagire alle mosse occidentali su piani e terreni diversi, mostrando tutta la propria aggressività. Inoltre, la Cina ha un pessimo record di pene di morte, il rapporto di Amnesty International del 2018 fa rabbrividire, ci sono migliaia di internati in campo di concentramento dove viene lesa la dignità e il rispetto dei diritti umani, ma questo non ha impedito all’Occidente di fare affari con Pechino.
L’Occidente dovrebbe porsi in modo diverso nei confronti della Cina?
Sì, altrimenti questa situazione difficilmente potrà cambiare. Credo che si assista ad una ipocrisia occidentale. Per essere più chiari, adesso ci troviamo in una condizione di “due pesi e due misure”, dove le condanne occidentali vanno a colpire con più aggressività alcuni attori del sistema internazionale piuttosto che altri. Ad esempio il caso Kashoggi ha ottenuto – a ragion veduta – una risonanza mediatica altissima e condanne da ogni angolo del mondo. Così come non si è correttamente esitato a definire illegittima la rielezione di Maduro in Venezuela. Bene, lo stesso si dovrebbe fare se la Cina decide di mandare al patibolo un cittadino canadese, soprattutto dopo un processo di cui nessuno sa nulla. E invece c’è un silenzio piuttosto diffuso sulla vicenda. Pechino gode di una “franchigia di immunità” nei confronti delle condanne a morte. Queste azioni vanno condannate a prescindere, altrimenti il rischio è quello sia di opacizzare l’identità dell’Occidente sia di rafforzare queste correnti aggressive.
Perché l’Occidente ha un atteggiamento più permissivo nei confronti della Cina?
In generale perché spera di portare avanti degli affari economici. Lo vediamo anche dall’entusiasmo che circonda la dottrina del One Belt One Road, ma a mio avviso questi affari sono miraggi in molti casi. Oltre a contravvenire ai consigli degli Stati Uniti, nostro principale alleato, molti Paesi – Italia compresa – rischiano di guardare ad un sogno che non esiste. La Cina concede aiuto a Paesi già indebitati, con il risultato che questi si indebitano ulteriormente, e Pechino può acquisire enormi vantaggi nel momento in cui scatta l’inadempienza. Oltretutto non possiamo e non dobbiamo accettare qualsiasi notizia di violazione dei diritti umani venga dalla Cina solo perché abbiamo interessi economici a fare da contraltare. Non vendiamo i nostri valori per un vantaggio economico, specialmente se questo vantaggio è solo una mera illusione.