Articolo dell’Avanti, 16 aprile 2019
Nonostante sia considerato un Paese islamico ‘moderato’ l’Iran resta uno dei Paesi dove la Pena Capitale continua a decimare la sua popolazione come una malattia virale. Ben 273 nel solo 2018, la cifra più alta al mondo. Oggi al Senato, su iniziativa della Fidu – Federazione italiana diritti umani e del senatore Roberto Rampi, è stato presentato l’XI rapporto annuale sulla pena di morte in Iran con Mahmood Amiry Moghaddam, portavoce di Iran Human Rights, Giulio Terzi di Sant’Agata, Ambasciatore, già Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e Antonio Stango e Eleonora Mongelli, rispettivamente presidente e vice presidente Fidu.
Il rapporto presentato dall’attivista iraniano Amiry Moghaddam mette in evidenza non solo quanto sia facile morire in quel Paese per mano dello Stato, ma che le cause che portano alla pena di morte sono principalmente quattro: omicidio, reati legati alla droga e stupro e infine Moharebeh (una sorta di guerra contro Dio) che comprende il buon costume, l’omosessualità e l’adulterio (da parte delle donne). Inoltre alle esecuzioni pubbliche partecipano bambini dai quattro ai dodici anni, ma ancora peggio spesso ad essere giustiziati sono proprio minorenni, nonostante la Comunità internazionale si sia pronunciata più volte contro la messa a morte di ragazzi che spesso sono solo autori di piccoli furti e delinquenze comuni. Ma il Paese di Rohani è anche quello che si lascia andare in torture verso i giovani e la popolazione, tanto che il terrore è il vero protagonista del nuovo regime, nonostante si parli di un Governo riformista le esecuzioni sotto Rohani sono notevolmente aumentate negli ultimi cinque anni rispetto agli otto di Ahmadinejad (3327 di quest’ultimo rispetto ai 3500 dell’”illuminato” Rohani).
L’ambasciatore Giulio Terzi ha infatti ricordato a margine della presentazione che “gli esecutori dei 30mila oppositori politici nel 1988 si trovano ora al Governo con Rohani, come il Ministro della Giustizia”.
Mentre il presidente Fidu Stango ha evidenziato che nonostante siano diminuite le pene capitali per droga (un bel meno 207 del 2018 rispetto al 2017) nel Paese in tre giorni su quattro ci sono esecuzioni che riguardano anche il solo uso di sostanze stupefacenti.
Infine nonostante sia stata certificata una decisiva diminuzione delle esecuzioni, vale comunque la pena ricordare che la mancata trasparenza da parte del governo iraniano ci porta a non essere certi del numero delle esecuzioni che ci sono state.
Inoltre l’invito alla comunità internazionale e ai partner europei dell’Iran a sollecitare una moratoria sull’uso della pena di morte e a importanti riforme nel sistema giudiziario del paese, che non in questo momento soddisfano gli standard internazionali minimi